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La 850 Grand Prix Francis Lombardi era l’auto giusta per un Aviatore

850 Grand Prix Francis Lombardi

Quando vidi per la prima volta ero in aeroporto a Piacenza, dove avevo iniziato a lavorare da pochi mesi. Ebbi come un sussulto. “Ma che diavolo è quella coupé?” pensai, non l’avevo mai vista prima di allora. Era la primavera del 1972, quarantacinque anni fa, ed una linea così non l’avevo mai ammirata in vita mia. Ricordava la Miura di profilo, che però a quel tempo era un’auto da fantascienza. La Grand Prix invece era abbordabile, con una forma da far girare la testa. Marcai stretto il mio collega per alcuni mesi, finché non cedette vendendomela.

Una gran soddisfazione guidarla; non velocissima (150 km/h) ma era una gran figata girarci. La gente si voltava a guardarla, faceva prorio una gran scena. Poi quella era la versione con motore 1000 elaborato dalla Giannini (la versione originale aveva un 850 cc) ma c’era anche la mostruosa 1300 Abarth. La mia riprendeva dall’Abarth la strumentazione Jaeger, il volantino Momo e i sedili recaro, il motore purtroppo no, quello no!

Dopo poco che l’avevo presa mi ruppero la serratura per rubare la radio, i RayBan e altro, quindi fu in quell’occasione che da Piacenza raggiunsi Borgo Vercelli presso lo stabilimento Francis Lombardi per andare a recuperare un nuovo meccanismo di chiusura e sostituire quello rotto. Feci una full immersion nella Lombardi che già in parte conoscevo, fissato con le auto com’ero, ammiravo le 500 My Car, le 600 e le 850 “Lucciola” modificate da loro a quattro porte. Una l’aveva il proprietario del mobilificio Settimi ad Anguillara Sabazia, aveva la 600 4 porte e da quella passò pari pari alla Lamborghini Espada!

Negli uffici dell’azienda venni a scoprire della pionieristica storia del fondatore, allora ancora vivente (era il 1973, morì a Vercelli nel 1983): Carlo Francesco Lombardi (Francis), Genovese, era stato Pilota militare e Asso della prima Guerra Mondiale con varie vittorie all’attivo, nonché amico di Gabriele D’annunzio, nonché detentore di vari record di aviazione (tra cui il record del volo Vercelli-Tokio, coperto in sei giorni, e parliamo del 1930). Fu lì che vidi, sotto enormi tettoie, tutti i telai Fiat dove poi sarebbero state montate le carrozzerie della coupé in questione, con cofano anteriore e posteriore in vetroresina. A fianco c’era il capannone dove venivano costruite, con il forno di verniciatura al centro. L’organizzazione era altamente artigianale, ma si respirava il tramonto dell’azienda (che difatti chiuse i battenti di lì a qualche anno, 1947-1976).

Quando, estasiato, seppi che Francis era stato un Pilota Militare non ebbi più freni e chiesi di vedere tutto. Una gran goduria, anche nei numeri; della mia versione avevano fatto fino ad allora solo 25 esemplari, della 850 una cinquantina e dell’Abarth una quindicina (era molto costosa per quei tempi si parlava di circa quattro milioni ed il mio stipendio da Sergente era di 98.000 lire). L’Abarth me la studiai bene in Azienda, ma già l’avevo conosciuta mio malgrado in autostrada, in Svizzera.

Stavamo andando da Lugano a Bellinzona con un amico e collega Aviatore. Non se ne vedevano in giro molte di Grand Prix, erano rarissime. Dal retrovisore esterno ne vidi una rossa che avanzava velocissima superandomi a tutta, scomparendo all’orizzonte. Viaggiavo intorno ai 130 km/h. Ovviamente fari rigorosamente retratti, perché aprendoli ad alta velocità la vettura diventava ingovernabile, facevano da vela. Sulla Abarth avevano cercato di ovviare un poco alla cosa piombando l’interno del muso. Be’, una volta arrivato in città, davanti la stazione ferroviaria, la vidi parcheggiata. Accostai, scesi e mi resi conto; coppa dell’olio che toccava terra con la scritta in rosso a rilievo Abarth, scarico doppio in acciaio e sul posteriore la scritta “Abarth Scorpione 1300 SS”. Ah… ecco perché!

Era un’Abarth originale di uno Svizzero che poteva permettersela, nuova di zecca. Purtroppo la mia ha avuto storia breve perché, scena con lo svizzero a parte, era alquanto scomoda un po’ per tutto e inadatta a viaggiare specialmodo in autostrada. In viaggio mi ritrovavo con i bulloni del centro ruota dei TIR ad altezza tetto, e quando pioveva poi era meglio fermarsi direttamente. Allora, pur con sommo dispiacere, la detti indietro alla Tramelli Auto di Piacenza, comperandomi un A112 Abarth nuova fiammante, ma questa è un’altra storia.

di Vito Pasquali

(Se non è abbastanza chiaro da foto e cognome, il padre di Gian Pietro)

 

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