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Design – Family feeling: coerenza o pigrizia?

Disegnare un prodotto presenta una serie ben nota di difficoltà a chi, come il sottoscritto, si occupa di creatività. Quando però un’azienda richiede ad un designer di concepire un’intera gamma di prodotti, come spesso mi capita, allora si aggiunge un ulteriore livello di complessità.

Si tratta di concepire una serie prodotti che devono vivere uno accanto all’altro negli showroom e nei cataloghi e, lancio dopo lancio, devono mostrare al mercato il percorso che l’azienda sta compiendo. Si deve perciò creare un “design del design”, ovvero una struttura progettuale più alta del singolo oggetto, una struttura in grado di trasferire un’immagine d’insieme, che faccia percepire l’appartenenza di quel dato prodotto ad un certo brand, nonché crei un rapporto aspirazionale fra i diversi prodotti, rapporto per il quale io consumatore non potendo permettermi il modello di punta, compro un modello intermedio che in fondo mi ricorda molto da vicino l’ammiraglia che ancora non posso permettermi.


La creazione di questo linguaggio trasversale è una sfida che si trova in qualsiasi ambito del design, ovviamente anche nel mondo dell’automobile. Gli esempi sono infiniti: dai prodotti Apple, così levigati ed arrotondati, agli aspirapolvere Dyson, dal look tecnologico e dai decisi tocchi di colore, dai droni della DJI alle macchinette per il caffè della Nespresso.


Se mi concedete qualche semplificazione nei termini e nei concetti, ci sono due modi di creare una gamma di prodotti: seguendo un approccio di “DNA”, oppure ricorrendo al “family feeling”. L’approccio di DNA, come potrete immaginare, cerca di andare ad analizzare le caratteristiche intime di un’azienda delle sue produzione, tradizione, storia ed ambizioni. I prodotti che nasceranno da questo approccio non si assomiglieranno nel senso morfologico del termine, non sembreranno uno la versione più piccola ed economica del precedente, bensì paleseranno la propria parentela e coerenza rispetto alla gamma attraverso dei valori diversi: il materiale col quale sono realizzati, oppure una sottile ironia che li attraversa, oppure la funzione stessa alla quale assolvono. Un paio di esempi? Cercherò di essere un po’ nazionalista e perciò vi farò due esempi italiani: la Alessi e la Kartell. Sono certo che tutti voi conosciate queste due storiche aziende italiane che producono rispettivamente splendidi accessori per la casa e complementi di arredo, prevalentemente in plastica.


I prodotti di queste aziende non si assomigliano fra loro per motivi estetici e di forma, bensì, nel caso di Alessi, assecondano tutti il valore della giocosità, dell’ironia quasi da fumetto, nonché dell’uso magistrale dell’acciaio.

Similarmente, sempre in buona misura banalizzando, i prodotti Kartell sono legati fra loro dall’uso magistrale della plastica, che l’azienda ha saputo portare a livelli mai raggiunti prima realizzando autentici capolavori d’arredo a volte interamente in policarbonato.


Dal lato opposto, invece, si trova l’approccio “family feeling” il quale, ne sono certo, vi sarà più immediato e…familiare! Si tratta di un approccio per il quale designer ed azienda realizzano due o più prodotti i quali presentano elementi visivi e di forma molto legati fra di loro, pur opportunamente scalati nelle dimensioni e proporzioni, affinché messi uno accanto all’altro, la parentela sia chiara, evidente.


Il mondo dell’automobile, ovviamente, ha da sempre la necessità di creare delle famiglie di prodotti che offrano al mercato diversi modi e diversi prezzi per accedere al brand: tranne qualche raro e deliziosamente anacronistico caso, tipo Caterham e Morgan, ormai non ci sono case “monoprodotto”.


Da sempre, quindi, i designer delle case automobilistiche hanno cercato di individuare degli elementi ricorrenti riconoscibili e tipicamente la zona del frontale è stata la prima a vedere la creazione di un legame. Viaggiando indietro nel tempo con la memoria, una prima cosa risulta evidente: a differenza delle gamme attuali, in passato il legame stilistico fra i diversi modelli prodotti da un marchio automobilistico era meno improntato al family feeling. Pensiamo ad Alfa Romeo a cavallo fra gli anni ’70 ed ’80: si producevano vetture quali l’Alfasud, l’Alfetta, l’Alfetta GT, la Giulietta e la 6.


A prescindere dai gusti è evidente come il legame estetico fra le vetture si limitasse a ben pochi elementi di brand. Erano più spesso le soluzioni tecniche, oppure il caratteristico sound, oppure elementi tipici nella guidabilità a creare un legame di parentela fra i diversi modelli.


Un altro esempio? Pensate alle Renault dei primi anni ’80: dalla mitica Fuego alla sgraziata 11, dall’immortale 5 all’ancor più sgraziata berlina 9. Anche in questo caso non c’è traccia di quel concetto di “family feeling”, di evidente somiglianza fra vetture di segmenti diversi.


Facendo un balzo ai giorni nostri, il concetto di family feeling sembra imperante, vetture appartenenti a classi diverse che ci costringono a strizzare gli occhi per capire di quale modello si tratti. I più avventati lettori staranno già sbuffando “Audi”, ma in realtà non è l’unica azienda ad aver fatto un uso tanto letterale del family feeling da aver reso una sessione di “Aguzzate la vista” ogni qualvolta se ne incontri una per strada! Le riuscitissime classi C, E e S di Mercedes hanno portato il concetto di family feeling ad un livello inedito per la casa di Stoccarda.


A prescindere dai singoli esempi, la riflessione interessante che va fatta è la seguente: l’affermarsi, sino al punto di abusarne, del concetto di “family feeling” è legato ad un’evoluzione nelle abitudini di acquisto e del ruolo dei brand. I brand, per l’appunto, proseguono nella loro funzione di creatori di uno “stile di vita”, andando ben oltre la mera funzione di venderci un prodotto: acquistare una loro automobile ci fa sentire appartenenti ad un particolare “lifestyle” sportivo od elegante in base ai valori del marchio.

La forza sta sempre più nel marchio il quale deve diventare l’elemento riconoscibile, il centro dell’esperienza ed il motivo della gratificazione d’acquisto: per questo motivo, le vetture devono stilisticamente andare a sottolineare l’appartenenza al dato brand, smussando le differenze di classe, bensì facendo tutti aspirare ad accedere all’esperienza che il certo marchio ci offre.


Lentamente si sottrae il focus dal singolo modello per inserirlo in una struttura più complessa e completa, qual è quella del marchio e del suo carico di valori di appagamento e gratificazione. Il componente aspirazionale in questo modo diventa fortissimo: guidando una berlina da 50.000€ ho la sensazione visiva e tattile di essere a bordo della sorella maggiore da 150.000€, messaggio che non giungerebbe qualora i due modelli fossero profondamente diversi.


È indubbio come non sia il concetto di family feeling ad essere negativo, né ad essere sinonimo di “pigrizia” dei designer, è solo il suo abuso a divenire discutibile. Si pensi ad esempio con quale maestria i designer del nuovo corso Volvo hanno saputo creare un forte legame visivo fra i diversi modelli della gamma attuale, pur riuscendo a garantire ad ognuno sufficiente autonomia e personalità.


L’argomento in questione è fra i più complessi e mi scuseranno i lettori più esperti in questo tema se sono ricorso a semplificazioni al limite della banalizzazione, ma il mio obiettivo è instillare la curiosità e cercare di farci osservare la complessità che ci circonda. E già che ci sono…buone vacanze!

di Valerio Cometti

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