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I vostri articoli: Chevrolet Corvette C4 – Soluzione spavalda (ed economica)?

La passione per le automobili si manifestò presto in me, già a tre anni le disegnavo su un quaderno che mio zio, architetto, conserva ancora gelosamente, forse pensava che sarei diventato in futuro il nuovo “Pininfarina”, ma così non è stato. Ho passato la mia infanzia a giocare con i modellini della Matchbox, della Majorette, della Hot Wheels, costruendo percorsi da rally nel brecciolino del giardino di casa, correndo gran premi sul disegno del bordo del tappeto del salotto, e fantasticando di guidare auto da Formula 1. Erano gli anni in cui la Ferrari vinceva in F1 e la Lancia trionfava nei rally, erano gli anni d’oro dell’Italia automobilistica Crescendo, questa passione non svanì mai, se ne erano aggiunte altre, per il calcio, per il tennis, ma quella per le auto, soprattutto sportive, rimase una costante, un sogno. Nel 1984 avevo 16 anni, era l’età in cui iniziavi a pensare che di lì a poco avresti preso la patente, ti sarebbero forse scomparsi i segni dell’acne che ti segnavano il viso, saresti divenuto più interessante per le ragazze, avresti preso il diploma di maturità e quindi scelto l’università, ma soprattutto era l’età giusta per iniziare a pensare alla prima automobile. L’auto di famiglia era una meravigliosa Alfa 33 Quadrifoglio Oro argento metallizzato, un passo in avanti gigantesco rispetto alla precedente Fiat 128 bianca e ruggine, che fu fatto da mio padre per un puro caso.

La vecchia Fiat 128 era oramai impresentabile e l’occasione di cambiarla fu la prima comunione di mia sorella, la vernice era tutta piena di bolle, e dove non c’erano le bolle c’era la ruggine in bella mostra, dicevano che era un esemplare fabbricato in uno dei periodi di grande sciopero delle fabbriche Fiat e quindi era riuscito davvero male. Mio padre comunque non si arrendeva, si era recato ancora una volta dal concessionario Fiat per acquistare una Regata, amava le berline e solo italiane.

Il venditore, nonostante si conoscessero già, non lo trattò bene dal punto di vista del prezzo, quindi mio padre, per ripicca, andò dal concessionario Alfa Romeo per vedere la neonata Alfa 33, che io preferivo alla Regata ma che costava un po’ di più, e le nostre finanze non consentivano follie. Per fortuna in Alfa Romeo c’era un venditore, di origine calabrese come mio padre, col quale scattò subito il feeling giusto ed in pochi minuti l’acquisto di quella Alfa fast back dal motore boxer ruggente e dalla guida sportiva si concretizzò. Aveva il volante il legno, il computer di bordo, i sedili di velluto, era tutta metallizzata, insomma per noi era roba da ricchi e quello fu l’acquisto più azzeccato della storia automobilistica della mia famiglia. Erano anni in cui non era facile vedere delle supercar dal vivo. Mi ricordo di aver visto qualche Dino Gt4, qualche 208 o 308, quella di Magnum PI, e qualche Mondial, ma niente di più, e sommandole si potevano contare sulle dita di una mano. Lamborghini e Maserati erano perle ancora più rare da osservare.

C’erano le Porsche, quelle si, erano più diffuse in una città grande come Roma, ma erano da sempre uguali a loro stesse, con quel design da maggiolino schiacciato, e tra l’altro, oltre che essere tedesche, avevano anche la cattiva reputazione di essere macchine molto pericolose. Bmw e Mercedes invece facevano solo berlinoni poco interessanti dal punto di vista sportivo. A quell’epoca poi, i nostri padri che la guerra l’avevano sfiorata, ed i nostri nonni che invece l’avevano fatta, ci avevano insegnato che i tedeschi erano i cattivi e gli americani erano i buoni, anche per quello forse non provavo molta simpatia ed attrazione per Porsche e compagnia. In televisione poi non è che trasmettessero molti programmi sulle automobili, a parte la Formula 1 commentata dal grande Mario Poltronieri e qualche redazionale sui Rally dominati dalla Stratos di Munari prima e dalle Delta dopo, era difficile godere di visioni automobilistiche.

Potevano godere solo guardando le serie tv di Supercar, Hazzard e Magnum PI, sempre e solo grazie agli americani e “lupus in fabula”, nel mio quartiere apparve appunto una macchina americana mai vista prima, nemmeno in tv. Questa macchina, che sembrava enorme all’epoca, era bassa, filante, aveva i fari a scomparsa e quattro fari tondi dietro. Il suo motore faceva un rumore folle e tutti ci giravamo a guardarla quando passava. Era una Corvette C4 nera, e sembrava più la Batmobile che un’automobile di serie. Un sogno. Nessuno di noi sapeva come era fatta né quanto potesse costare, in Italia di fatto non era importata ufficialmente, internet non esisteva e nemmeno i telefoni cellulari se è per questo, e sulle riviste specializzate che compravo non se ne trovava traccia.

Per noi era chiaro che si trattava della Ferrari Americana, e con tale ammirazione la guardavamo ogni volta che si esibiva per le strade del quartiere. Era ancora più inarrivabile di una Ferrari, e forse per questo rimase impressa nel mio inconscio più di qualsiasi altra macchina. Non sapevo che avesse un motore V8, non sapevo che fosse fatta di vetroresina, non sapevo che potenza avesse né quanto consumasse, ma era davvero una figata pazzesca.

Inutile raccontare che la mia prima auto, invece, fu una Fiat Uno 1000 Fire a 4 marce. Me la regalarono mio padre e mio nonno. Aveva il motore, il volante, i sedili… e basta. Fece il suo per molti anni, più di dieci, furono anni in cui si ruppe qualsiasi cosa si potesse rompere su una macchina così piccola e semplice. Quando iniziai a lavorare, uno dei miei primi obiettivi fu quello di cambiare la macchina e pensionare quella scatoletta azzurra. Non appena ebbi accumulato un po’ di stipendi acquistai una Alfa 145 1.5 Boxer da un mio amico, per quindici milioni di vecchie lire. Era una macchina che all’epoca mi piaceva tantissimo, ed era grigio titanio metallizzato. Beveva come una Ferrari, in città faceva una media di 8-9 km con un litro e dovevi sempre tirare le marce per farla ruggire come una vera Alfa. Però che rumore incredibile. Con quella macchina feci il più grosso incidente della mia carriera automobilistica, andando a finire sotto un camion ad un incrocio vicino casa e distruggendo tutto l’anteriore. Io mi salvai ma l’auto ebbe undici milioni di danni, tutti risarciti per fortuna.

Fu riparta magistralmente, e dopo l’incidente andava meglio di prima. Un anno dopo cambiai lavoro e la mia passione per le auto fu castrata dalla dotazione della famigerata auto aziendale, l’auto diesel, la morte dei sogni di ogni aspirante appassionato. Lasciai la 145 a mio padre che poi a sua volta la permutò per una fantastica Alfa 156, rottamando anche la 33 arrivata alla fine dei suoi gloriosi giorni, a me invece toccò una Fiat Brava Turbodiesel. Il fatto di non sostenere più spese per l’automobile, alla lunga aveva modificato il mio rapporto con le macchine spersonalizzandolo, rendendolo apatico, passivo, guardavo le altre auto sapendo di non poter mai decidere di averne una mia, qualcun altro infatti le sceglieva per me, e per fortuna le pagava pure, rimborsandomi ogni spesa. L’auto era così diventata un mezzo di lavoro, un ufficio ambulante, non più un momento di piacere, di passione.

Dopo la Fiat Brava arrivarono una Alfa 147, una Renault Scenic, una Lancia Delta, una Giulietta, una Renault Kadjar ed infine una Passat, tutte turbodiesel. Nel mentre mio padre era venuto a mancare dopo una breve ma implacabile malattia e nel nostro giardinetto era rimasta parcheggiata, immobile, la sua amata Alfa 156. Lui aveva sempre espresso il desiderio di volerla regalare a suo fratello nel momento in cui avesse deciso di cambiarla, ma la vita aveva deciso che quella dovesse essere la sua ultima auto. Per rispettare la sua volontà chiedemmo al fratello se la volesse, ma aveva già due macchine e senza uno stipendio sicuro non si poteva permettere una terza macchina. Mia madre mi chiese di metterla in vendita, non ce la faceva più a vederla parcheggiata sotto casa senza che ci fosse più mio padre a girargli intorno per lavarla o fare finta di fargli manutenzione. Lui ci passava il tempo con quella macchina. Dopo averla venduta per un migliaio di euro scarsi, a mia madre venne a mancare anche quell’ultimo punto di riferimento che era quell’Alfa parcheggiata sotto casa, diceva che adesso che non c’era più la macchina il vuoto lasciato da papà sembrava ancora più grande. Ed in effetti era così. Guardare quel giardinetto vuoto era tremendamente più triste, per tutti noi. Vendere l’Alfa non era stato facile, sembrava non volerla nessuno anche se aveva solo sessantamila chilometri, ma era un 1.6 benzina e nel tempo del diesel era un osso duro da smaltire. Provai su internet ottenendo poco successo e molte offerte ridicole, poi provai tramite qualche concessionario a metterla in conto vendita, anche qui senza successo, alla fine mi convinsi che la cosa migliore era permutarla e prendermi una macchina da usare nel week end, liberandomi dalla schiavitù del diesel aziendale. Se ci fossi riuscito avrei avuto di nuovo una macchina di mia proprietà dopo quindici anni e soprattutto l’avrei potuta parcheggiare in quel giardinetto riempiendolo di nuovo. Non avevo bene idea di cosa volessi e quanto potessi spendere. Essendo un alfista, ero orientato per un’Alfa d’epoca, avevo pensato ad un duetto o una Gt junior, le uniche due alla mia portata nel 2015.

Vicino casa c’era anche un concessionario che aveva una Boxster usata a meno di diecimila euro, e la tentazione fu forte anche per quella. Lasciai l’alfa in conto vendita al concessionario col patto che se fosse stata venduta, il ricavato me lo avrebbe scalato dal prezzo della Boxster. Non solo lui non riuscì a vendere l’Alfa ma nel frattempo vendette anche la Boxster. Mi ripresi la macchina e puntai ad un duetto rosso in vendita da un altro concessionario sempre vicino casa. La mia Alfa la valutava bene, quasi duemila euro, ma il duetto era in pessime condizioni di carrozzeria, aveva delle evidenti bolle di ruggine che mi fecero desistere dal proseguire la trattativa. Feci qualche altro giro e qualche altro tentativo ma poi arrivò la chiamata di un signore egiziano che aveva visto al 156 su internet e la voleva comprare per la moglie. Ci accordammo per un appuntamento, vide la macchina, mi lasciò tutti i soldi in contanti e torno a prenderla per il passaggio di proprietà dopo qualche giorno insieme alla moglie. Fu tutto molto strano, soprattutto vederla andare via guidata da altre persone. Oramai ero entrato nel trip dell’auto per il week end. Nel girovagare quotidiano su internet, ampliai la ricerca anche ad altre tipologie di auto che mi avevano sempre colpito in passato e che forse ora mi potevo permettere. Morgan e Corvette.

Due auto diversissime ma pur sempre fascinose. Andò così. Trovai una Corvette C4 in vendita su Roma alla modica cifra di 7.500 euro, un prezzo molto più basso della media. Era nera, proprio come quella che avevo visto per la prima volta una trentina di anni prima, ed aveva degli evidenti difetti su cui però si sarebbe potuto lavorare abbastanza facilmente. La provai e mi entusiasmò. Quando una settimana dopo tornai dal venditore con la caparra per comprarla, lui ci ripensò e non la vendette più.

Ci rimasi male, ma le vacanze estive erano alle porte e me ne feci una ragione. Mentre ero in vacanza a Rio de Janeiro, approfittando del wi-fi dell’albergo, lessi l’annuncio di una macchina molto particolare, era sulla tipologia di una Morgan, si chiamava Marlin ed era la replica della mitica Alfa 6C 1750, rossa. A mio papà sarebbe piaciuta tantissimo, il rosso era il suo colore preferito. Sembrava la macchina di Lupin III. Guardai la mia compagna e le dissi che al più ci saremmo fatti comunque una gita alle cascate delle Marmore ed una buona mangiata. La macchina era bellissima, di quelle che ti fanno girare la testa al loro passaggio per strada.

Il venditore, un settantenne arzillo e dinamico, ci portò a fare un giro. Era una due posti secchi quindi andai prima io e poi lei. Scesi dall’auto, tutti e due avevamo il sorriso a trentadue denti spalmato sul viso. La affittavano per i matrimoni, ma essendo una due posti non riscuoteva più molto successo tra gli sposi che gradivano di più essere trasportati da un autista piuttosto che guidare da soli un’auto con la guida a sinistra, il cambio era duro, la terza entrava con un calcio, e lo spazio a bordo non era proprio adatto all’abito di una sposa. Una settimana dopo era mia. Aveva un motore 1.8 a singolo carburatore da 90 cavalli di origine BMC, pesava solo 600 chili e quindi correva come una pazza ma non potevo saperlo perché il contachilometri non funzionava. Il motore partiva dopo mezzo giro di chiave, perdeva ogni liquido possibile e immaginabile come da tradizione dei motori inglesi, d’inverno faceva un freddo cane, scoperta era bellissima e con la cappotta era inguardabile, d’estate dal motore arrivava un caldo boia nell’abitacolo, ma soprattutto, quando finivi il giro per la città, dopo aver salutato tutti, essere stato soggetto di foto e video dei passanti, aver regalato sorrisi a grandi e piccini nemmeno fossi una superstar, puzzavi di benzina come nessun benzinaio di professione. Con lei è stato amore e odio. Amore per tutto quanto già detto, odio perché era una kit car, ed in quanto tale aveva molte cose che andavano sistemate, dall’impianto elettrico, al motorino d’avviamento, ai freni, al radiatore che spruzzava acqua ovunque, e tante altre piccolezze. Per essere la mia prima auto storica era un po’ impegnativa da quel punto di vista, ma il difetto più grande era strutturale, ed era rappresentato dal giardinetto dove la tenevo. Era un posto auto scoperto, ed una macchina aperta come quella, anche se la tenevo sempre coperta dai teloni, non era assolutamente adatta a rimanere all’aperto e più di una volta la trovai completamente allagata dalla pioggia, nonostante i teloni. Avendo la scocca in legno marino, l’acqua non era proprio l’ideale per l’integrità dell’auto. All’ennesimo allagamento, dopo due anni di utilizzo ed a malincuore, fui costretto a venderla. Data la particolarità dell’auto non c’erano molti pretendenti a parte qualche truffatore dall’estero, qualche affarista che offriva la metà del prezzo di vendita, e qualche permutatore con proposte che non mi interessavano. Non ci feci un gran guadagno, la rivendetti più o meno al prezzo che l’avevo pagata più i lavori che ci avevo fatto per renderla affidabile. L’aveva presa un altro signore sui settant’anni, evidentemente esercitava fascino su persone di quell’età, con un bel garage in cui riporla e che sicuramente ne avrebbe avuto molta cura. Era in buone mani.

Io invece ero di nuovo libero di inseguire il mio sogno originario. Mi ero tolto la voglia dell’auto in stile Morgan e ne avevo ricavato la consapevolezza che senza un garage coperto, una cabrio o una macchina con problemi di corrosione della carrozzeria non potevo permettermela. Avevo fatto la mia esperienza. Nel frattempo, in due anni, i prezzi delle GT Junior erano volati alle stelle. Quella che avrei preso a 9 mila euro e che mi avevano soffiato sotto il naso, ora costava il doppio, ed io avevo un budget massimo di 12 mila euro, cioè quanto ricavato dalla vendita della Marlin. Ripresi le mie ricerche su internet e sempre di più maturava in me la convinzione che se il sogno era quello dovevo avere pazienza ed inseguire solo il mio sogno. Di Corvette in vendita non ce ne erano molte, ed a Roma nessuna da poter vedere. Un giorno apparve un annuncio di un tizio di Bari che vendeva una C4 rossa per 8 mila euro.

Per fortuna la mia compagna è originaria di Bari dove ancora vivono i suoi genitori, così approfittando di un week end libero, andammo in Puglia e con la scusa organizzammo anche l’appuntamento con il venditore. Lo incontrammo dove ci aveva fissato l’appuntamento, era un uomo distinto, scoprimmo dopo che era un avvocato famoso. Quando aprì la saracinesca del suo box sgranammo gli occhi. Era un collezionista di auto d’epoca. Li sotto c’erano Jaguar, Ferrari, Maserati, un Duetto, una Viper gialla, due Corvette, e qualche moto, ed era solo il box dove teneva le auto di meno valore, in un altro box invece teneva i pezzi forti della collezione, roba da centinaia di migliaia di euro. Dopo un primo momento di smarrimento focalizzammo la C4 parcheggiata ad un lato del box, quasi nascosta dalle altre auto. Era rossa con una fascia bianca che scorreva centralmente lungo tutta la carrozzeria, era molto bella e sembrava all’apparenza senza grossi difetti.

Quella nera che avevo quasi comprato a Roma stava messa molto ma molto peggio. Parcheggiata dietro di lei, c’era una meravigliosa C3 Sting Ray del 1978 a vetro piatto di colore azzurro metallizzato con due strisce bianche racing. La C4 scompariva alla sua vista. Anche perché l’interno della C4 non era come l’esterno, il tachimetro non funzionava, il volante non era originale, i pedali erano stati modificati e c’era un cavo elettrico penzolante sotto il cruscotto. Il precedente proprietario era un ragazzo disabile e probabilmente tutte quelle modifiche erano state fatte per agevolargli la guida. Il motore girava potente, ed a parte quelle svirgolate, la macchina si presentava bene, soprattutto se parametrata al prezzo di vendita.

Ma poi gli chiedemmo di accendere il motore della C3 e tutto intorno divenne buio. Pensavo venisse giù il palazzo dal tanto rumore e dalle vibrazioni prodotte, sembrava avessero accesso dieci Harley Davidson all’ennesima potenza. Un’apocalisse. Gli chiesi se anche quella fosse in vendita e mi rispose che non era nei programmi ma che ci poteva pensare. Gli dissi di farmi sapere perché per quella potevo anche fare uno sforzo in più. Qualche settimana dopo mi chiamò per dirmi che aveva fissato il prezzo di vendita della C3 a 22 mila euro, troppi per me, sarei arrivato anche a 18 ma non di più, ed aggiunse che nel frattempo aveva anche venduto la C4 rossa. Tutto sfumato anche stavolta. Mi rituffai su internet alla ricerca di qualche occasione. Le C4 continuavano ad essere poche ma avevo allargato la ricerca alle C3 che erano comunque più care, e nessuna era bella come quella che avevo visto.

In fondo il prezzo che aveva fissato l’avvocato era più che onesto, ma bisognava sapersi fermare, perché altrimenti iniziavo ad entrare nella logica che se dovevo spendere 22 per una Corvette, allora potevo anche spendere 28 per un cavallino rampante tipo Mondial e così via rilanciando pericolosamente sempre più in alto. Avevo quasi riposto i miei sogni nel cassetto, quando, a fine gennaio del 2018 apparve un annuncio di vendita di una Corvette C4 del 1986 su Roma che catturò subito la mia attenzione. Il prezzo era allettante, 12 mila euro. Dalle foto la macchina sembrava messa piuttosto bene, aveva una livrea davvero bella, era bianca con due strisce blu racing che la percorrevano per tutta la lunghezza, molto americana. Mi piaceva, anche dopo aver scoperto che aveva il parabrezza incrinato ed i pistoncini del portellone posteriore scarichi. Gli interni erano superiori alla media di quelli che avevo visto su altre macchine, poveri certo, ma almeno aveva i sedili sani.

Era di proprietà di un carrozziere che se la era sistemata a suo gusto, con qualche finitura discutibile e rivedibile. Rientrai a casa quasi convinto che quella macchina poteva essere quello che stavo cercando. Tornai tre volte a vederla, e mi fu fatta anche provare, per 10 mila euro poteva essere mia, il proprietario voleva disfarsene, aveva bisogno di soldi per la casa. Feci il passaggio di proprietà il 15 febbraio 2018, il giorno del mio cinquantesimo compleanno, fu proprio un bel regalo! Investii altri mille euro per sistemarla tutta e così ho coronato quel sogno che negli anni 80 mi sembrava irraggiungibile.

Rispetto ad una C4 standard la mia ha l’assetto ribassato e le ruote più grandi, sembra un’auto preparata per correre, è così bassa che ad ogni cunetta o dosso lo spoiler anteriore, per fortuna di plastica, gratta sull’asfalto regalandomi odore di bruciato fin dentro l’abitacolo. L’ho presa proprio perché custom, le auto americane devono esserlo secondo me, il pallino maniacale dell’originalità a tutti i costi non sta in piedi con le vetture di oltre oceano. Problemi? Ma certo, batteria, alternatore, pompa freni, tachimetro digitale che funziona quando vuole lui, insomma tutto ciò che avevo già sperimentato con la Marlin. E come succedeva quando giravo per Roma con la Marlin, anche la Corvette fa girare la testa a tutti.

Non se ne vedono molte in giro, anzi quasi per niente, però se vai sui forum di automobili tutti sembrano sapere tutto di lei. Si è vero ha una cilindrata mostruosa rispetto alla potenza, ben 5.7 cc con soli 235 CV. Ma il motore è un aspirato, è poco compresso, al contrario di quello di una Mondial con gli stessi cavalli, ed ha molta più coppia, quindi è molto più fruibile per quello che comunque dovrebbe essere l’utilizzo di un’auto storica, ed è anche molto robusto ed affidabile. Consuma tanto? Bugia. Certo se parti a razzo facendo fumare le gomme ai semafori, o se la guidi in modalità sportiva, fai fatica a fare 4-5 chilometri con un litro, ma guidata normalmente il consumo medio è di 11,3 litri per 100 km, cioè più o meno quello di una gloriosa Alfetta, o quello della mia ex Alfa 145. Credo che la Fiat 128 di mio padre facesse 11 km con un litro di super per dirla tutta e la Corvette fa quasi 9 km/litro. È di plastica? Ebbene si ha la carrozzeria di vetroresina, una plastica speciale rinforzata con vetro, come quella con cui si fanno le barche, i velivoli ultraleggeri e tante altre cose, tra cui la carrozzeria delle macchine da competizione della sua epoca e delle prime Ferrari 308, quindi non si arrugginisce ed è anche più leggera dell’acciaio.

Il V8 fa un rumore che quando rimetto piede sulla mia auto aziendale diesel mi viene il magone. Che tristezza le auto di oggi. Sono senza anima, senza personalità, pur avendo prestazioni di gran lunga migliori ed offrendo un comfort inimmaginabile per le auto di metà degli anni 80. Tanti presunti vati motoristici, piloti esperti, fenomeni da tastiera che guidano una Panda, con tutto il rispetto per la Panda, non fanno che paragonare le prestazioni delle moderne automobili con quelle di una qualsiasi auto sportiva anni 80, denigrando spesso la C4 anche se non ne hanno mai vista e guidata una, solo per sentito dire, tralasciando il fatto che tra lei ed una anonima Audi TT passano più di 30 anni di evoluzione meccanica e soprattutto elettronica.

Le auto di oggi sono degli elettrodomestici, solidi, affidabili, economici, prestazionali, senza sorprese. E fra poco saranno veramente degli elettrodomestici da attaccare ad una presa di corrente. Esistono già automobili elettriche che senza fare il minimo rumore fanno da 0 a 100 km/h in 2,8 secondi, roba da far impallidire tutte le super car con motore a combustione interna, dalle iperboliche Bugatti ad una Porsche qualsiasi, passando per Ferrari e Lamborghini. Sono automobili, non macchine. La Corvette C4 è una macchina, e che macchina, con tutti i suoi pregi ed i suoi innegabili difetti. Ti senti connesso con lei, senti la strada che ti scorre sotto il sedile, senti quel rombo che sale, e quell’accelerazione che sembra non finire mai, brutale se schiacci di colpo l’acceleratore, dolce e progressiva se la dosi bene, con quella coppia che in pochi attimi ti proietta davanti a tutti.

Quando piove, le guarnizioni del tettuccio rimovibile non sono a tenuta e quindi l’acqua ti gocciola addosso, ma una trazione posteriore con pneumatici da 315 è meglio lasciarla a casa quando piove. Ci vuole rispetto per la macchina e conoscenza dei propri limiti per guidare un’auto sportiva d’epoca. Di fenomeni finiti male e di supercar distrutte se ne vedono già abbastanza su internet. È scomoda? Certo, è scomoda, anzi entrare ed uscire dalla C4 è un vero esercizio muscolare, perché lei ti vuole dentro, non ti vuole far uscire, ti vuole far rimanere ad ammirare il suo cruscotto digitale, quando decide di accendersi, che sembra il cockpit di un Boeing 747.

A dire il vero ho avuto l’occasione di entrare dentro una BMW i8 ed è stato un esercizio molto peggiore. Vogliamo parlare di comodità quando c’è da aprire il cofano motore? Meglio di no, perché per sollevarlo devi avere il fisico, quando l’hanno progettato devono aver avuto in mente l’americano medio ormonato di cibo da fast food, non certo l’italiano medio quale sono io. Il cambio automatico? Certo non è paragonabile ad un cambio automatico moderno, ma una C4 va presa con il cambio automatico, il cambio manuale americano di quegli anni equivale ad un piatto di spaghetti col ketchup, e con l’automatico quantomeno ci si risparmia la durezza della frizione di una Ferrari anni 80. “Non è un auto sportiva, è un’auto normale, gli americani non sanno fare auto sportive”, tuonò a suo tempo il giovane Jeremy Clarkson di Top Gear, provando una C4 del 1984.

Oggi tutti gli appassionati di auto americane sanno che la C4 del 1984 è stata di gran lunga la peggiore della serie col vecchio motore da 205 cavalli ed una disastrosa iniezione elettronica, se il buon Jeremy avesse provato un esemplare del 1986 da 240 cavalli ed iniezione elettronica Bosch si sarebbe ricreduto. Soprattutto in virtù del fatto che la Corvette C4 è stata una macchina sportiva, e che macchina! Dal 1985 al 1987 ha dominato nelle gare Stock GT Racing americane battendo senza replica tutte le sportive europee iscritte come la Porsche 944, le Lotus e le Ferrari 308. Lo score è stato di 29 a 0 per la Corvette C4. Era talmente più forte che per rendere di nuovo i campionati interessanti, su pressioni delle altre case automobilistiche spaventate da questo dominio e che minacciavano per questo di abbandonare le gare, la Corvette fu squalificata, e fu creato un campionato dedicato solo alla C4, il Corvette Challenge.

In conclusione non sto affermando che la Corvette C4 sia migliore delle Ferrari della sua epoca, non mi permetterei mai, il Cavallino è sacro e come tale va trattato, ma se non puoi permetterti una Ferrari nemmeno entry level e non vuoi tremare ad ogni curva con una Porsche di quegli anni, non hai altra scelta. Nel mio caso invece era un sogno, un sogno realizzato e chiamato Corvette C4. Ah dimenticavo, la Corvette se giri il volante fa anche le curve, e le fa piuttosto bene!

di Simone Palamara

 

 

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