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TVR: La rinascita delle inglesi più folli – di Valerio Cometti

Pub, birra, pioggia e caccia alla volpe… Poche cose sono più “British” di queste. A ben vedere, anche le fuoriserie semiartigianali sono un’altra vera peculiarità tutta inglese.

La tradizione automobilistica britannica è costellata di marchi le cui alterne fortune hanno riempito le pagine delle riviste specializzate, nonché i pavimenti dei garage degli appassionati con chiazze di olio depositate da motori non proprio indistruttibili…

Marcos, Morgan, BAC, Triumph, Ariel, Caterham, la lista è davvero lunga, dimostrando il mix di creatività, operosità e passione per la meccanica degli inglesi. Da questo elenco, che potrebbe continuare a lungo, manca indubbiamente uno dei nomi più illustri: TVR.

Queste tre lettere provengono dalla contrazione del nome di battesimo del suo fondatore Trevor Wilkinson ed indicano una leggendaria azienda inglese nata nel 1947.

La storia di quest‘azienda meriterebbe un articolo a sé: dai primi passi compiuti dal fondatore, il quale senza alcuna formazione tecnica iniziò letteralmente assemblando pezzi raccattati nella sua officina embrionale, alla forte accelerazione impressa dal business man Peter Wheeler dalla metà degli anni ‘80.

Durante la gestione nascono le TVR più note ed ammirate: vedono la luce vetture leggendarie quali, ad esempio, la Cerbera, la Tuscan, la Sagaris.

Non trattandosi di una rubrica di meccanica, stendo volutamente un velo pietoso sulla travagliata qualità costruttiva che tanto ha segnato il successo delle TVR di quegli anni.

Mentre per gli occhi sono stati anni molto felici: dalle forme levigate della Griffith, della Cerbera e della Tuscan, alle soluzioni stravaganti, ma ricche di personalità della Sagaris, le TVR non lasciavano mai indifferenti anche i detrattori più accaniti.

La Tuscan sfoggiava un mix di perfette proporzioni e distribuzione dei volumi, ma con una freschezza priva degli stereotipi tipici della muscle car. Si pensi solo al modo in cui il volume del passaruota anteriore si sovrapponeva alla porta creando un’arcuata fessura di alleggerimento della fiancata.

Accanto a questi elementi di classica bellezza, non mancavano guizzi inediti come gli scarichi di ispirazione motociclistica, per non parlare delle autentiche “follie” come il doppio cofano motore, oppure il lunotto in plexiglass rimovibile, oppure ancora la batteria nascosta dietro al passaruota anteriore.

E che dire degli interni? Negli abitacoli, le TVR sapevano stupire per le soluzioni inedite e talvolta mai più riprese dalla concorrenza anche a distanza di decenni: grandi superfici organiche, rivestite in morbida pelle di concia inglese, si alternavano a dettagli fresati dal pieno ed accompagnavano lo sguardo su degli indicatori curati al limite dell’orologeria.

Vi ricordate gli strumenti supplementari posizionati nel piantone dello sterzo che facevano capolino attraverso le razze nella parte inferiore del volante della Cerbera?

E che dire della Sagaris? Dal deflettore di flusso in plastica trasparente a fine lunotto allo scarico posizionato di traverso nel posteriore, dalle branchie sulla parte superiore dei passaruota alla gobba singola sul tetto, tutto a corredare un corpo compatto, muscoloso e sapientemente acquattato sull’asse posteriore.

Forse era un modo di ingannare il tempo fra un intervento in officina e quello successivo, ma si potevano trascorrere ore ad analizzare le forme della Sagaris.

Proprio con queste immagini in mente, mi sono avvicinato al momento del rilancio del marchio, dopo il breve ed improduttivo periodo “Smolensky”, con grandi entusiasmo e curiosità.

Man mano che le notizie filtravano dall’ufficio stampa della nuova gestione, le stelle sul cielo della TVR sembravano allinearsi: progetto ed ingegneria firmate da un certo Gordon MurrayMotore V8 a carter secco messo a punto da una certa Cosworth

Arrivati però al giorno del lancio, non ho potuto nascondere una certa delusione nell’osservare la nuova nata, la nuova due porte chiamata anch’essa Griffith.

Ritengo che vetture come le TVR siano automobili da acquistare con la “pancia”: sono oggetti che parlano ai nostri sensi, alla nostra irrazionalità, alla nostra capacità di provare sincera passione per un oggetto inanimato che però incorpori un sogno, una sfida, un’ambizione.

Certi oggetti non vivono di tabelle di comparazione Excel, di diagrammi di potenza, di razionalità e di tecnologia: sono oggetti che devono rapirci, devono farci fermare e voltare a guardarli quando li abbiamo parcheggiati, devono farci tentennare come una bella donna sicura di sé, ogni volta che apriamo il garage.

La nuova Griffith non riesce a raggiungere in me questi effetti, perlomeno non nella misura che sapeva fare una Sagaris od una Tuscan.
La nuova Griffith è una coupé estremamente piacevole, molto corretta nelle proporzioni ed indubbiamente presenta una serie di dettagli di grande piacevolezza.

Sicuramente nel solco della migliore tradizione TVR, il posizionamento inconsueto dello scarico, subito dietro le ruote anteriori, è uno degli elementi estetici di mio maggior gradimento.

Altrettanto piacevole il gioco estetico realizzato dalla morbida superficie che dalla porta prosegue verso l’anteriore e si incunea sotto il volume più teso proveniente dal cofano motore.

Anche il posteriore della nuova Griffith è riuscito: bello, estremamente tecnico, dominato dal generoso estrattore. Detto questo, però, gli interni cercano di riprendere la ricercatezza degli anni passati, ma non sono del tutto convinto del trattamento tipo “dissipatore termico” che caratterizza le bocchette, né mi convincono le forme della plancia attorno allo schermo centrale disposto in posizione verticale.

Da vero feticista dei cerchi in lega, apprezzo la ricercatezza delle forme proposte, ma non sono certo veicolino con sufficiente rabbia e sportività l’anima della vettura: non mi convincono, ma forse ci potrei convivere.

Poco avvincente anche il modo in cui il padiglione del tetto fluisce nel posteriore, così come l’andamento della linea di cintura mi sembra poco personale. Dove invece il mio poco entusiasmo diventa quasi contrarietà è nell’anteriore, indiscutibilmente la parte più importante di ogni vettura, a maggior ragione di una sportiva.

A costo di inimicarmi molti lettori, devo dire che il frontale della nuova Griffith mi ricorda quello della Toyota GT86: indubbiamente un bel complimento per la piccola coupé giapponese, ma un risultato poco eccitante per una vettura che dovrebbe far spostare dalla corsia chiunque si azzardi a rallentarne il passo.

Ed il resto?  Il resto è tutto riuscito, gradevole, equilibrato, ma manca quella follia che pretendo dalle vetture inglesi.
Se si toglie la follia da una vettura ed allora non si hanno possibilità di successo: i tedeschi fanno già le migliori vetture “non folli” al mondo!
Sto esagerando? Con l’età divento incontentabile? Che ne pensate?

di Valerio Cometti

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