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Westfield SE: da scintillante bidone a perfetto restauro – I vostri articoli

Mai avrei immaginato di imbarcarmi in un progetto simile alla soglia dei 60…
Stimolato da antichi ricordi infantili (chi ha la mia età avrà visto la serie televisiva “Il Prigioniero”), circa quattro anni fa, decido di mettermi alla ricerca di una Super Seven.


Non si rivela cosa facile, ma dopo un anno di valutazioni scelgo una Westfield SE del 1989. La guido da Como fino a Biella, luogo dove risiedo, affrontando un viaggio a dir poco allucinante. L’auto è in condizioni disperate, sbanda paurosamente ad ogni correzione, avvicinandosi spontaneamente alle ruote dei TIR che mi superano suonando con allegria.


L’odore dello scarico è fastidioso anche per me che la guido e pur essendo febbraio mi sembra di stare in un forno. Infine, giunto in garage, il viaggio si conclude con una fontana di liquido del radiatore, accompagnata da vapori infernali e rumori piuttosto sinistri. Inutile dirlo, abbagliato da una carrozzeria scintillante mi sono preso un bidone clamoroso.


Il giorno successivo corro dall’amico meccanico che la prova, torna dal breve giro sventolando la leva del cambio che si è staccata e mi consiglia vivamente di lasciarla in officina. Inizia così una delle più belle ed imprevedibili avventure automobilistiche che mai mi sarei aspettato. Persa ogni paura di rovinare alcunché (peggio di così non si poteva) iniziamo una ricostruzione totale, partendo dal telaio tirato a nudo, ripulito da una quantità indicibile di immondizia composta da cavi vecchi e spellati, fascette stringitubo, cartone, plastica, nastro adesivo e chi più ne ha più ne metta.

Il motore è da rifare, lo smontiamo mandando in rettifica la parte dei cilindri, ordinando nel frattempo tutto l’occorrente per ricostruirlo dalla Burton, in Inghilterra. Si tratta di un Ford Crossflow 1600 degli anni ’70, un’ottima base su cui montiamo una nuova testa da competizione con luci maggiorate e pistoni più performanti.

La carburazione è affidata a due Weber DCOE40 che revisioniamo a puntino, diminuendo la misura dei getti sovradimensionati da chi in tempi remoti probabilmente ci correva in pista.

La carrozzeria in vetroresina ed il telaio sono perfetti, ma tutto il resto deve essere ricostruito.

Procediamo quindi con la realizzazione da zero di: piantone dello sterzo montato su bronzine, pedaliera con boccole di ottone e vaschetta del liquido dei freni realizzata dal pieno, vaso di espansione in acciaio inox, impianto di raffreddamento con tubi in silicone, impianto elettrico, impianto frenante e così via. Ovviamente l’appetito vien mangiando.

Grazie alle capacità straordinarie del mio amico meccanico e alla mia passione per la programmazione CNC decidiamo di ricostruire la plancia sullo stile delle Bugatti anni ’40.

Partendo da una sagoma in legno modelliamo la lamiera fiorettata e realizziamo su nostro disegno tutta la strumentazione, compreso un cambio ad “H” e tutte le spie micro incise (non vogliamo neanche un atomo di plastica sulla nostra Seven).

Il lavoro si conclude con la realizzazione di uno spettacolare scarico in acciaio inox e la verniciatura della parte frontale con un cambio di grafica decisamente più “corsaiola” della precedente. “Conclusione” è comunque una parola grossa, in quanto chiunque sia appassionato di questi restauri è consapevole di quanto non siano mai finiti veramente.

La prova su strada

La prima accensione non è immediata. La procedura prevede nell’ordine l’armamento dello “stacca batteria”, l’accensione del quadro tramite la prima posizione della chiave (e tutte le lancette scattano miracolosamente verso destra), poi l’interruttore della pompa della benzina che inizia a riempire le vaschette dei carburatori con un simpatico gorgoglìo. Tiro l’aria appena un pochino e finalmente aziono la leva dell’avviamento.

Dopo i primi giri a vuoto e l’odore del carburante che aromatizza il garage ecco qualche colpo di tosse… e poi il motore prende vita!
La mia mano si posiziona sulla leva del cambio in modo così naturale che sembra la continuazione del mio braccio, innesto una retro morbidissima ed esco. Tutto è stato costruito sulla mia taglia come un vestito e il risultato è palpabile. La frizione è ben gestibile, nonostante sia priva di assistenza idraulica, grazie alla precisione dei pezzi realizzati dal mio mitico meccanico.

Il tempo di fare capolino dall’androne che si affaccia sulla stradina e sono decollato. Posso già togliere l’aria e il minimo al primo incrocio risulta perfetto. Percorro le vie tra le case godendomi un rombo tranquillo e corposo, lo scarico non fuma più e la gente mi guarda incuriosita, qualcuno mi saluta.

Le cinture a quattro punti mi tengono ben saldo sul sedile stranamente comodo, nonostante le dimensioni minimaliste. Sono letteralmente avvolto dalla mia macchina e mi sento coccolato in questo abitacolo da Spitfire, ma non perdo mai di vista le altre auto molto più pesanti e robuste di me… L’asfalto è così vicino che potrei raccogliere un sasso solamente allungando il braccio oltre la sponda laterale.


Per i primi chilometri non spingo oltre i 2500/3000 giri, tenendo ben controllate le lancette della temperatura dell’acqua e della pressione dell’olio. Tutto bene, motore e abitacolo non scaldano più come prima. Imbocco le strade secondarie che si inerpicano sulle colline, la temperatura ha raggiunto gli 85°. Ci siamo, scalo in seconda e apro!


Il suono fino a 3000/3500 giri è piacevole e pieno, poi inizia l’urlo crescente che ricorda quello delle moto con il “quattroinuno” degli anni ’70. Allungo la terza fino a 5500 giri. Mi sale il cuore in gola, la spinta è ben superiore a quella immaginata e tutte le marce entrano alla grande, senza perdere i giri che sembrerebbero non finire mai di aumentare. Mi riprendo, scalo ed affronto le prime curve. Lo sterzo è immediato, sensibilissimo e forse anche troppo reattivo, ma così preciso che potrei scartare una formica.


Accelerando in curva la stabilità aumenta, esercitando una pressione laterale tipo montagne russe, per nulla riconducibile alla guida di un’auto convenzionale. Ora la tenuta di strada è sovrannaturale. Rilevo con un’occhiata la temperatura vicino ai 90° ed aziono l’interruttore della ventola di raffreddamento. Sono prudente, ancora non ci conosciamo, rallento, raggiungo un piazzale deserto e mi fermo a godermi il momento. Eh sì, Colin Chapman non aveva sbagliato una virgola!


Rientro dopo un bel giro, alternando brevi tratti veloci a rilassanti rettilinei, collaudando così la stabilità ottenuta tramite la perfetta convergenza e la sostituzione degli ammortizzatori anteriori. Riesco anche ad eseguire qualche timida derapata nelle rotonde più isolate, seppur a bassa velocità ed in modo assolutamente controllabile.


Chiudo il garage accompagnato dal ticchettìo del motore che si raffredda. Sono trascorse due ore in cinque minuti! La mia felpa odora di motore e le mani mi vibrano ancora. Mi passo un fazzoletto sul viso e un leggero alone scuro mi ricorda le immagini dei grandi piloti di allora.

Dopo due anni di lavoro serale, possiamo dirci molto soddisfatti di questa macchinina, che con i suoi 140 CV per 500 Kg garantisce emozioni degne di parecchie supercars, pur proiettandoti in un passato totalmente privo di assistenza elettronica. La prudenza va comunque compresa nel pacchetto, perché ovviamente le protezioni in questo caso non vanno di pari passo con le prestazioni.


Sono auto progettate per correre in pista e lo facevano veramente bene, ma sulla strada richiedono un po’ di testa, altrimenti farsi male è un attimo. Ringrazio ancora Christian per avermi permesso di realizzare il mio sogno, senza un buon meccanico non sarei andato da nessuna parte. A prossima e buoni restauri a tutti!

Aldo

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