Editoriali

Perché il film “Lamborghini: The man behind the legend” è un totale disastro – Davide Cironi

Sono stato molto combattuto se scriverne o meno, perché questo articolo contribuirà mio malgrado a spingere, anche solo per curiosità, più persone verso la visione di questo debole, apatico, insipido film. Ho deciso di farlo solo dopo aver visto il disclaimer finale in cui la produzione scrive:

Dunque, essendo probabilmente voi al corrente di quanto io mi sia speso in favore di una sana e fedele archiviazione della vera storia Lamborghini, dando nel mio piccolo più voce possibile ai personaggi di Paolo Stanzani e Marcello Gandini, qui tagliati fuori dal film “per esigenze di narrazione cinematografica” come se non fossero due dei cardini principali, mi sono sentito in dovere di proteggere chi la storia Lamborghini l’ha dovuta imparare da questo film. I simpatizzanti, i non esperti, gli amanti delle auto fino a un certo punto, quelli come potrei essere io quando guardo il biopic di Gucci o Freddy Mercury non sapendo un bel niente di loro e fidandomi di quello che il cinema mi propina. Su “Lamborghini – The Man Behind the Legend” però mi sento di dover segnalare ai meno provveduti quanto poco fidarsi di questo piccolo e irrispettoso film.

Partiamo dal trailer, che già era un grosso segnale per chiunque si interessi un minimo di motori. Già capiamo che Enzo Ferrari fa la figura del povero cretino, pieno di sé, pauroso, rosicone, un po’ sfigato, proprio come la tenera Mondial che è costretto a guidare in una sfida contro la stupenda, prepotente e alettonata Countach azzurra (sognata, simbolica, ma questo lo capiremo solo vedendo il film) guidata da un sudato e poco valorizzato Frank Grillo, l’attore che interpreta Ferruccio. Permettetemi un piccolo excursus; mi ritengo un grandissimo appassionato di cinema, quindi non parleremo soltanto di motori, se questo vi annoierà potrete spezzare la lettura guardando un restauro dei nostri a caso.

All’attore Frank Grillo purtroppo non è stato concessa neanche la consulenza di 5 minuti da parte di un guidatore professionista per mettere le mani sul volante come un comune essere umano con residenza europea. Il Ferruccio cinematografico continua a maneggiare il volante della sua Countach come un poliziotto farebbe con la sua Impala in qualsiasi film americano di serie B. Sterza tutto da un lato e la macchina continua ad andare bella dritta sul suo cameracar-trailer, tra il grande stridere delle fantasiose gomme. Cambi di marcia; lo sappiamo, non infieriamo, diciamo che questo è un problema anche nelle produzioni migliori come “Le Mans ’66” o “Rush” dove almeno ci si è provato. Questo articolo non cadrà nell’argomento “americani che non sanno tradurre la guida sportiva in pellicola quando ci vorrebbe così poco“. La povera suddetta Mondial alla fine vince anche, nonostante Enzo Ferrari alla sua guida sia tanto imbarazzante quanto Ferruccio. Ferrari Mondial, con una duecentina di cavalli in meno. Va be’. Di nuovo, parlare con il più scarso degli appassionati di motori, neanche pagandolo, gli avrebbe evitato di usare proprio una Mondial, con tante Ferrari coeve che potevano rendere la scena davvero eccitante. Non dico di scomodare sua Maestà, ma almeno una Testarossa.

Continuando in quanto si può vedere già dal trailer del film, Enzo Ferrari viene intercettato fuori non si sa quale suo edificio davanti il cartello “FERRARI – When you want to be somebody” (anche qui, siete seri?) da un rampante Ferruccio Lamborghini. Già questo sappiamo quanto sia impossibile, già questo infastidisce qualsiasi appassionato di motori e/o di cinema. Frankuccio Grillorghini ci rimane male, fa anche l’espressione attoriale che il suo regista gli ha richiesto, il suo povero cuore di contadino è spezzato (perché far passare a tutti i costi uno degli imprenditori più affascinanti della storia italiana come un contadino arricchito, lo sa solo codesto regista Bobby Moresco), Enzo Ferrari sale in macchina e da lì è guerra.

Frank Grillo a me non dispiace, fa il suo lavoro decorosamente. A lui sarebbe bastato essere diretto meglio e avremmo avuto un accettabile Ferruccio, al quale avere magari il tempo di affezionarci, visto che lo possiamo seguire nella storia della sua vita nel tempo che ci mettono Mondial e Countach in gara a fare lo zero-cento (un’oretta e mezza). Gabriel Byrne, di per sé un buon attore, nei panni di Enzo Ferrari è molto peggio. Senza ombra di dubbio il peggiore Enzo mai interpretato in tutte le fallaci trasposizioni cinematografiche del Drake. Stavolta non lo salva neanche il doppiaggio del grande Luca Biagini. Ridateci almeno Castellitto. Attore di nuovo non colpevole, Byrne ci prova con quanto gli è stato scritto da Bobby che oltre a fare il regista fa anche lo sceneggiatore. Gli scrive un personaggio che più insulso e antipatico non si poteva, lasciando tutti noi a meravigliarci di come questo film sia arrivato a vedere la luce. Il Drake, a Ginevra, al suo stand ufficiale Ferrari (dove sono lui e altri 4 gatti come se fosse la sagra della verza bollita), assiste miseramente, attonito, spaurito, alla presentazione della prima Lamborghini 350 GT.

Paghiamo 30 comparse da mettergli intorno la prossima volta, se proprio dobbiamo dare l’immagine di Ferrari che va a Ginevra solo soletto alla mercè di chiunque passasse di là? Ferruccio gli fa recapitare un disegno di un toro che monta un cavallino, e qui è l’apice dell’eleganza americana in questo film. D’altra parte, se in “Le Mans ’66” l’hanno fatto andare fino a La Sarthe (mai successo) per assistere alla sua “terribile disfatta” (due Ferrari contro tremila GT40) e fare anche un cenno di approvazione a Ken Miles, perché no. Almeno lì possiamo godere del talento attoriale di Christian Bale, passando anche sopra al rimbocco marcia finale che avrebbe sparato fuori tutte le bielle anche un Turbostar, altro che GT40 a fondoscala. Spoiler; alla fine del film Enzo Ferrari fa l’occhiolino a Ferruccio che perde la gara onirica contro la Mondial.

Ford v Ferrari Le Mans 66 Race finalle Ending

Alla fine ci sono cascato, l’ho dovuto dire. Tornando al film “Lamborghini – the man behind the legend” c’è qualcosa di più grave della mancanza di passione da parte di chi l’ha scritto e diretto, ed è la totale diseducazione che essa comporta. Chi dovrà conoscere Ferruccio Lamborghini e i suoi Uomini attraverso questa pellicola, senza la voglia di approfondire seriamente, prenderà per buone delle scemenze senza precedenti. A Bobby questo non interessa ovviamente, altrimenti si sarebbe sbattuto un po’ di più per non sentirsi tutta la platea gridare “buuuuuu” come sta giustamente succedendo. Ci venissero anche a dire che non hanno avuto il tempo di inserire Stanzani e Gandini quando il film dura a malapena 1 ora e 30. Non si fa in tempo ad affezionarsi al personaggio che ti piazzano un salto temporale allucinante senza passare dal via, tagliando le parti più belle della storia, le auto più belle. La solita Italia rappresentata con gli occhi degli americani, quattro scemenze trite e ritrite sulle nostre campagne, accenti del sud in Emilia, abiti da mafiosetti, donne vuote e senza personalità che servono (piatti americani, certo non gnocco e tigelle).

La gara con la famosa Topolino da 600 CV è il primo gigantesco segnale che il film non andrà per il meglio. Ferruccio e l’altro ragazzotto, di cui sinceramente per tutto il film non sono riuscito a capire l’dentità, preparano una macchina con motore Topolino 500 cc e (qui spero che nella versione originale in inglese si siano salvati). Più avanti parlano di 1.500 cc e dicono 1.500 “Cavalli”. Insomma tra Topolino e Bugatti Chiron, già i più deboli di cuore cambiano canale e si guardano per la 900esima volta Fuori in 60 secondi, almeno c’è Angelina Jolie. Io no, io resisto, continuo a guardare la gara. Nonostante i 600 e rotti cavalli, la loro Topolino si fa tenere dietro da una Porsche 356.

Ferruccio giovane sbrocca e prende il volante al suo amico facendolo schiantare alla terribile velocità di gara prossima ai 15 km/h. Tutta la sequenza di gara ha l’enfasi del vecchio col cappello che vi perseguita quando siete in ritardo di 40 minuti su una strada a doppio senso e doppia linea continua. Se fossero andati un altro po’ più lenti il cameraman avrebbe fatto in tempo a seguirli a piedi. Effettivamente per qualche secondo si può anche vedere una comparsa che li insegue con successo per parecchi metri. Scusate se non ci gasiamo.

Lamborghini: The man behind the legend

Andando avanti perdiamo un sacco di tempo sulla costruzione del Carioca, il piccolo trattore di cui ci fregava il giusto, e zero nella costruzione della Miura, mal fotografata nella locandina ufficiale (è la stessa Miura che avevamo nel nostro stand di Padova 2022). Gialla, non rossa cerchi oro come era quella di Ferruccio. Ci voleva tanto a prenderne una rossa? Ad un certo punto sbuca il rapper napoletano Clementino che non si capisce se è un amico di Ferruccio, che lavoro fa, perché sta lì. Il suo ruolo poi si scopre essere veicolante del capitolo finale, quello delle rivolte operaie, dove usano il suo personaggio per simboleggiare la fine dell’amore dei dipendenti verso l’industriale Lamborghini. Sta lì lì per sparargli due rime di freestyle-o-fratm nella telecamera dei giornalisti che lo intervistano durante le insurrezioni. Di nuovo, lo spettatore resta impassibile. Non c’è il minimo cenno di pathos in tutte queste vicende. Ma c’è da ammettere che l’unica battuta divertente di tutto il film la dice proprio Clementino, riguardo il colore verde del prototipo 350 GT. Le donne di Ferruccio contano meno della Williams nella F1 di oggi, tanto che non riusciamo a soffrire neanche della prematura morte della moglie Clelia. L’attore che interpreta Tonino, il figlio, sembra il ragazzino di “Merry Christmas” dalla leggendaria “torre de babbele che se ritrova” con Cristian De Sica (molto più pathos).

Altro personaggio disastroso, offensivo e americanizzato è il grande Bob Wallace. Qui mi fa piacere che sia stato preso libero spunto dalle nostre interviste a Paolo Stanzani. Fosse ancora in vita penso si sarebbe fatto una delle sue risatine sogghignanti (ci manca tanto Ing.). Con questo devo per forza aggiungere che un membro della produzione del film è venuto a trovarmi a L’Aquila per una consulenza informale sul film, avendo appunto visto alcune mie interviste e letto anche “I diari della Miura nera” se non sbaglio. Dopo avergli dato un po’ di consigli da appassionato (ascoltati zero, ho visto) ci siamo salutati con l’intenzione di un coinvolgimento più profondo, onde evitare strafalcioni tecnici e narrativi quanto più possibile. Insomma, avrei volentieri fatto presente a Bobby Moresco che la Mondial era l’auto sbagliata, gli avrei dato una mano a trovare un’auto più adatta come ho fatto per il film di Michael Mann su Ferrari (speriamo bene), gli avrei potuto evitare tante brutte figure e l’avrei fatto anche gratis per amore della storia Lamborghini. Nada.

Bob Wallace, Giampaolo Dallara (in foto sulla destra), Franco Scaglione, Giotto Bizzarrini. Non so se gli è andata meglio che a Stanzani e Gandini. Il giovanissimo Dallara, durante la concettualizzazione della prima 350 GT picchia il dito sul differenziale nel disegno fatto da Ferruccio dicendo: “devo costruire un telaio per ospitare un doppio albero a camme”. Bizzarrini dice: “E i carburatori”? Dallara risponde: “Un arco stabilizzatore posteriore”! Cioè letteralmente paroloni tecnici disconnessi tra loro e tirati a casaccio che neanche la RAI nelle sue peggiori fiction anni 2000. Ah, dopo questa conversazione brindano con le tazzine del caffè.

Il disegno che fa Ferruccio durante uno dei suoi flirt extra-coniugali con il bel sottofondo di Tony Renis, sostituendosi nella narrazione alla mano di Marcello Gandini, è esattamente la metafora di questo film. Questo film sta a Ferruccio Lamborghini, come quel disegno sta alla Miura. Eppure quanto sarebbe stato facile affascinare il mondo con questa storia e questi uomini. Senza voler disturbare Ferrari, la storia di Ferruccio Lamborghini meriterebbe davvero una sceneggiatura alla Eric Roth, un film alla Forrest Gump o Benjamin Button. Con quella qualità narrativa, quella luce e quella qualità recitativa. Non salvano il risultato finale Gianfilippo Corticelli e Blasco Guirato con una fotografia elegante e abbastanza azzeccata. Se è impossibile un sogno del genere, quantomeno il minimo sindacale di “Rush” e “Le Mans ’66”. La leggenda Lamborghini non è certo da meno.

La Miura, la nostra amata Miura buttata là a fine film (finalmente si vede), sul Lago Trasimeno, nel colore sbagliato, con la targa anteriore europea coperta alla buona dallo scotch nero e finta targa nera “BO”, che viaggia dal lato sbagliato della strada senza motivo, guidata da un Ferruccio amaramente pentito di aver trascurato la sua famiglia per la sua ostinazione e sete di potere, nel più classico dei cliché americani alla Jorge Jung in “Blow”. Un finale di una piattezza e vacuità difficili da immaginare per un Uomo e una Macchina così.

Ringraziamo di una cosa, che non essendo Netflix non ci siamo dovuti sorbire Enzo Ferrari nero, le doppie mamme lesbiche o una Mondial arcobaleno. Semi-citando, infine: “i film sulle auto devono farli gli appassionati di auto“.

di Davide Cironi

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