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I vostri articoli: La Uno Turbo del papà – Ricordi indelebili di un figlio cresciuto in I.E.

Aprile 1985. Appena qualche mese dopo che Michael Jackson insieme a Bruce Springsteen, Bob Dylan, Ray Charles, Cindy Lauper, Tina Turner e tanti altri artisti, registra il singolo “We are the world” a sostegno delle popolazioni Africane in affanno, divenuto poi un classico della canzone americana; appena qualche giorno dopo che, ancora una volta, le brigate rosse, in Italia, destabilizzano il Paese con l’uccisione dell’economista Ezio Tarantelli all’Università di Roma. Aprile ’85.

La Fiat lancia un progetto straordinario per l’epoca: La Uno Turbo I.E., dove I.E. sta, terribilmente, per “iniezione elettronica”, come a volere sottolineare una rottura col passato e uno slancio verso l’ignoto (all’epoca!) mondo degli iniettori comandati da una primordiale centralina elettronica Magneti Marelli accoppiata a un debimetro di quelli con la grafite dentro, che ti fa cambiare in maniera stupefacente l’andamento e le risposte del mezzo ad ogni sbalzo di temperatura esterna.

Una bomba, una piccola bomba di metà anni ’80, la Uno Turbo, lanciata con una pubblicità in TV dal tono deciso, a volere sottolineare il “turbo”, la sovralimentazione, la potenza di un mezzo certamente fuori dal comune. La Uno Turbo, 4 dischi Brembo di cui due autoventilati davanti e due semplici dietro, frenata molto curata (per l’epoca!), turbina IHI VL2 impostata a 0,6 bar, intercooler, sistema di raffreddamento automatico degli iniettori con apposita ventola dedicata, collettore d’aspirazione in alluminio con l’imponente scritta “Turbo I.E.”.

La Uno Turbo e la “rabbia” con cui scaricava tutti i suoi 105 cv sull’anteriore in un tempo infinitamente piccolo. La Uno Turbo e un fiume di benzina per una piccola utilitaria “violenta”, come diceva Franco. Papà.
Franco, era già possessore di una Uno ES (acronimo di “Energy Saving”, dotata di una sorta di odierno “econometro” che consigliava la cambiata di marcia giusta ai giusti regimi e alla giusta velocità a vantaggio dei consumi). Per la verità, me ne parlava spesso male di questa “ES”, descrivendola come poco affidabile e ricca di problemi di elettronica.

Già perché, seppure il 903 cc, di cui era equipaggiata, fosse ancora a carburatore, quest’ultimo aveva il “cut-off” elettronico e le vecchie puntine platinate sostituite con una moderna accensione Marelli a mappatura digitale. Nonostante la poco felice esperienza con la suddetta “ES”, al lancio della Uno Turbo I.E., Franco ne rimase affascinato e colpito, specialmente dalla bontà del progetto che, è bene ricordare, è frutto dei tecnici Abarth, cosa facilmente verificabile, se si da uno sguardo ai particolari del mezzo, finanche alle rifiniture, tipiche dello stile corsaiolo a cui ci ha da sempre abituati lo “scorpione” più famoso al mondo.


La Uno Turbo I.E., carattere difficile, indomabile e quasi mai domato, prestazioni eccezionali, con una velocità massima dichiarata dal costruttore di 205 Km/h, con un’accelerazione 0-100 in 8,3 sec. e una coppia di 147 N m.
A Settembre del 1986, direttamente dalla “Succursale Fiat Cosenza” arriva, fiammante, la prima Uno Turbo I.E., segnale che Franco, aveva ceduto dinanzi a quell’auto così strana e maledettamente rabbiosa. Il capofficina Fiat dell’epoca che lo conosceva da una vita gli disse: “Franco, non portarla qui per i tagliandi. Noi non siamo assolutamente in grado di metterci le mani. Te la rovineremmo solamente”. Franco che, naturalmente, seguì rigorosamente il consiglio di chi era capofficina, si appuntò per iscritto solo una cosa: “Ricordarsi di rifare la cinghia distribuzione massimo a 55.000 Km”. Già lui era un perfezionista della meccanica, uno che, pure se aveva la macchina con la carrozzeria sporca, non importava ma doveva avere i tagliandi fatti, i cambi olio e le manutenzioni effettuati con la massima precisione.

Io nacqui un anno dopo, il 1987, a luglio, e dai suoi primi racconti sulla Uno Turbo ricordo quello in cui mi disse che, per scrupolo, volle effettuare il cambio cinghia distribuzione a 35.000 Km e, con grande sorpresa, una volta levato il carter protettivo, il meccanico trovò la cinghia completamente sfilacciata, sul punto di rompersi! Una volta interpellata la casa madre sul perché, questa rispose che era dovuto alla violente sollecitazioni del motore! Sono praticamente cresciuto nella Uno Turbo, anzi come detto prima, nella prima Uno Turbo, e dopo capirete il perché.


Nella seconda metà degli anni ’80, quindi, con una Uno Turbo, si poteva tenere testa a macchine ben più costose, potenti e grosse. Nel 1988, a settembre, Franco andò con un gruppo di amici sul Passo dello Stelvio, con la Uno, i bagagli e tre persone per la settimana bianca. Partenza alle 03:00 del mattino, dalla Calabria, per essere a 2.760 metri sul Passo, alle ore 15:00 circa. Dodici ore ininterrotte di viaggio con la Uno Turbo in moto e pronta a dare lezioni a chiunque la incrociasse; al tizio con la BMW 320i targato tedesco che, a tavoletta, non riesce a spuntarla contro la Uno, piuttosto che al Cumenda con il Maserati Quattroporte che non riesce a tenere il ritmo della Uno nei tornanti tra Bormio e Livigno, passando per Isolaccia.

Franco mi disse che il tizio con la BMW, un tedesco biondo, in perfetto stile, una volta raggiuntolo all’autogrill, scese dalla sua BMW, fece un giro intorno alla Uno Turbo, la guardò e gli disse: “Macchina italiana questa”? E Franco a lui: “Già, macchina italiana”. Un modo elegante per dire “Nel frattempo, tu e la tua BMW siete stati dietro”! Ricordo l’entusiasmo che questo tipo di racconti suscitavano in me da piccolo, tanto da farmi raccontare più e più volte questi aneddoti fino allo sfinimento.


C’era poi Zio Salvatore, proprietario di una Uno 45 S bianca che, per via di un guasto, chiese in prestito la Uno Turbo a Franco, credendo, con tutta probabilità, che fosse “la stessa” della sua. Dopo un’intera giornata con la Uno Turbo, il vecchio zio Salvatore disse a Franco: “Oh, ma che ci hai fatto a ‘sta macchina? Mi sembra strana. Quando acceleri ti spinge al sedile e va molto più forte della mia”.
Quante risate e quanta felicità durante questi racconti perché vedete, per me, la macchina, questa macchina, ma anche le altre che posseggo, sono una fucina di aneddoti, di imprese e soprattutto di ricordi.


Franco, mio padre, ha posseduto tante macchine nella vita, BMW, Peugeot, Citroen, Jaguar. Ma la macchina che gli rimase nel cuore fu la Uno Turbo che, dopo un paio di furti subiti e di ritrovamenti, decidemmo di vendere nel 1995. In quell’anno avevo 8 anni e già pensavo che da grande, avrei regalato a mio padre, magari al suo cinquantesimo compleanno un’altra Uno Turbo. L’avrebbe reso certo felice di nuovo. Ma la vita non è mai come la immaginiamo, anche se questa frase sembra uno stupido stereotipo. Papà ci lasciò giovanissimo, nel 2008, e non compì mai i suoi 50 anni.


Nel mio diventare adulto di colpo, dinanzi alle nuove difficoltà, ben più grandi di quelle di un normale ragazzino di vent’anni, non ho mai dimenticato la Uno Turbo e la gioia che suscitava quella macchina in mio padre. Allora nel 2010 iniziai la mia ricerca per trovarne un’altra. Ecco perché questa che vedete è la seconda Uno Turbo della mia famiglia!
Doveva avere alcune caratteristiche certe: prima serie, primi due anni di produzione, colore grigio ardesia (come diceva papà, color “canna di fucile”), con le scritte laterali e posteriori, possibilmente unico proprietario con pochi Km e soprattutto originale in ogni sua parte. Certamente caratteristiche difficili da trovare in una macchina di 30 anni fa.


Dopo mesi di approfondite ricerche e altrettante telefonate trovo lei, 85.000 Km originali, anno 1985, unico proprietario, proprio identica a quella di papà! Unica differenza la targa. Non potevo certo pretendere di trovarla targata CS!!! Prendo un aereo e parto dall’aeroporto di Lamezia Terme per raggiungere Bergamo e da lì, il paesino di Nembro, dove si trovava l’auto. Il proprietario gentilmente mi accompagna al box, solleva la serranda e… eccola lì, bellissima, lucida, splendida come la ricordavo io. Chiedo subito di entrare nell’abitacolo ed è qui che avviene un piccolo miracolo: l’odore dell’interno!!!

Ha lo stesso odore amici, anche oggi. Lo stesso odore della Uno Turbo di papà, inconfondibile. L’odore della mia giovinezza, di quella macchina, di mio padre e dei nostri giorni felici assieme. L’odore delle tante piccole rivincite su quella piccola, grande Uno. Sono certo che avrei pagato anche il doppio quel giorno per portarmela via se il vecchio proprietario me l’avesse chiesto. Non potevo rinunciare a quella macchina lì e a tutto ciò che mi evocava, che mi ricordava con una prepotenza bellissima e tenera allo stesso tempo.


Ritorno in Calabria con la mia Uno Turbo, con la seconda Uno Turbo della famiglia Pantusa, 1.200 Km senza un colpo di tosse, dopo 30 anni. Chilometro dopo Chilometro riaffiorano in me immagini di vita bellissime, sensazioni, sapori e odori. Riaffiora la bellezza eterna di mio padre e la sua passione per le auto. Quel giorno sono certo di essere diventato un po’ più grande dell’età che avevo, solo un altro piccolo passetto, ma importante.


Ancora oggi, a 33 anni, quando metto in moto, sento il suo rombo, vedo il suo scarico cromato originale, i suoi cerchi diamantati Speedline da 13” come da casa madre (a favore di un avantreno sottosterzante al massimo), gli interni con le impunture rosse, il quadro strumenti analogico con le lancette rosse volute da Abarth, il volante a 4 razze che reca, intonsa e fiera, la scritta “Uno Turbo i.e.”.

Mi ricordo di tutta la mia vita passata, delle persone che non ci sono più e del mio essere bambino curioso, appassionato e instancabile divoratore di fatti e misfatti sulla Uno. Cosa dire, amici, la Uno Turbo, questa Uno Turbo, per me è un qualcosa che va oltre il mezzo meccanico, oltre l’automobile, oltre l’aspetto materiale. Lei è una specie di legame, un collegamento, un portale collegato al passato e alle cose che non ci sono più.

È un modo di riconoscermi, di riconoscere com’ero, di riconoscere quello che sono stato e, paradossalmente, anche quello che sarò.
Ho incontrato Jessica nella mia vita, alla quale ho spiegato il perché tenessi così tanto a questa automobile che ancora oggi qualcuno considera come un’auto per gente prepotente. Lei, incuriosita, mi ha chiesto, mi ha ascoltato e, il ricordo che ho di quando ho terminato il racconto, è la sua faccia di stupore e i suoi occhi grandi, quella sera, ancora più grandi, per me.

di Gianfranco Pantusa

 

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