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The Phantom Sportscar – Storia della Tommy Kaira ZZ e ZZII

Di Luca Sciarrillo – Uno dei passatempi preferiti di ogni appassionato di auto è sognare ad occhi aperti. D’altronde, sognare non costa nulla.

Da appassionato, mi è capitato spesso di vagare con la mente tra epoche distanti e regioni remote, immaginando auto mai nate, ferme a uno stato embrionale, iniziate in un piccolo stabilimento da un manipolo di uomini e mai portate a produzione.

Non sono solo gli appassionati squattrinati a sognare… Ogni tanto un piccolo imprenditore decide di tuffarsi nel mondo dei costruttori di auto, fiero della sua idea e speranzoso che gli altri la capiscano e la apprezzino.

credit YI450 Photography

Il terreno più fertile in cui piantare il seme di una nuova auto avendo a disposizione poche risorse è sicuramente quello delle auto sportive: le auto pensate per gli appassionati di auto. Cinquant’anni fa la sportivetta era ancora un’auto di nicchia; non doveva rispondere a requisiti particolari se non ad andare forte – non fortissimo, essere divertente da portare ed essere abbastanza utilizzabile su strada, cioè non doveva cadere a pezzi tutta in una volta. Andando avanti con i decenni, con le norme sulla sicurezza, con le restrizioni sulle emissioni, con l’avanzamento tecnologico a supporto di prestazioni molto maggiori, anche la sportivetta a basso costo è diventata un’auto complessa quanto tutte le altre, con mille cablaggi, nuove comodità e un discreto comfort di guida. Insomma, da un paio di decenni a questa parte è diventato impossibile riuscire a vendere o addirittura omologare una sportiva se non si hanno grossi investimenti alle spalle, e i soldi non bastano nemmeno per garantire il successo del modello, dato che di tutte le sportivette a buon mercato degli ultimi tre decenni sono sopravvissute giusto la Miata e la Elise.

Essendosi chiuse le porte del mercato delle sportivette di grande tiratura, i piccoli costruttori, chi prima e chi dopo, chi per ambizione e chi per necessità, hanno rivolto il loro sguardo verso un segmento simile, ma le cui caratteristiche e la cui esclusività permettevano ancora la produzione artigianale o semi-artigianale: le supercar. La supercar è “per definizione” un’auto caratterizzata da un forte concetto di base e da un design inconfondibile. Una supercar dev’essere prima di tutto esotica, deve sorprendere, deve essere mai banale. Le prestazioni mozzafiato, poi, sono la ciliegina sulla torta. Mentre in Europa le supercar vedevano le proprie prestazioni sempre più “imborghesite”, adagiandosi sul fascino donatogli dalle matite dei carrozzieri più famosi al mondo, in Giappone le anonime sportive da usare tutti i giorni cominciavano a tirare fuori prestazioni interessanti, sospinte da una passione attorno all’auto popolare che in Europa era probabilmente in calo da tempo. Grazie ai leggendari elaboratori giapponesi, capaci di modifiche per l’epoca incredibili per resto del mondo, la meccanica delle auto trovò nuovi limiti. Le sportive giapponesi di grande tiratura raggiunsero prestazioni con cui riuscivano a impensierire le ormai grandi e goffe supercar europee. In questo preciso momento i “tuner” cominciarono a vedere la loro reputazione crescere al di fuori dei confini regionali. L’approccio giapponese tutto funzionale e poco formale sconfisse quello del Bel Paese, basato sulle sensazioni di guida e non sulla prestazione pura. Senza contare la situazione economica diversa, che permetteva ad alcuni costruttori di produrre auto di nicchia ad elevate prestazioni e di venderle a costi abbordabili (bolla economica asiatica), e ad altri impediva di investire troppe risorse in un segmento dove l’apparenza contava più della prestazione (crisi petrolifera).

Tra gli elaboratori c’era chi preparava auto da record di velocità, chi per la pista, e c’era chi le modificava sia meccanicamente che esteticamente, con l’intento di creare auto uniche da godersi sia per strada che in pista. Molti tentavano un’avventura del primo o del secondo tipo, ma pochi intrapresero la strada di elaboratore-costruttore, cioè di omologare auto modificate, dovendo creare quindi prodotti validi a tutto tondo sia nell’uso quotidiano che in quello sportivo. Oggi vi parlerò di uno di questi ultimi.

Le persone chiave di questo elaboratore sono due: Yoshikazu Tomita e Kikuo Kaira. Se sei cresciuto con i videogiochi di auto, con un po’ di immaginazione potresti aver già capito il nome del marchio partendo dai due cognomi: Tommy Kaira. Tomita era un importatore di auto esotiche che, dopo una rapida apparizione nel motocross dove divenne amico di Matsuhisa Kojima, iniziò a vendere auto nella sua Kyoto all’età di vent’anni, diventando in seguito uno dei principali fautori della cultura giapponese per le supercar e le auto italiane negli anni ’80. Nel 1968 fondò la sua prima attività: la Tomita Auto Inc, successivamente rinominata in Tomita Auto Co. Ltd. nel 1973. Alcuni anni dopo volò in Italia per comprare tre Miura e cinque Dino 246, senza conoscere né l’italiano né l’inglese, insieme a un designer giapponese (Enrico Yamazaki di Fendi) che fu la sua “Beatrice” nel Paradiso dell’auto sportiva che è il Bel Paese. Importò anche una Cobra Daytona e una Miura SVJ non ufficiale (# 4892). In seguito si è dedicato alle corse automobilistiche, prima come manager del team Hayashi Racing sponsorizzato da Turbo-Hayate nel 1982, con Hitoshi Ogawa come pilota e Hayashi 320 come auto, in seguito come team principal del team Auto Beurex in JTC, con la Hartge 635 CSI che vinse il campionato nel 1985. Kaira iniziò la sua carriera nel motorsport sia come meccanico, sia come pilota quando ne aveva occasione. Contribuì alla progettazione e corse con le RQ (Racing Quarterly, in seguito Nova Engineering) Augusta Mk1 e Mk2 che gareggiavano nella All-Japan Formula Junior 360, un campionato JAF per piccole monoposto equipaggiate con motori due tempi da 360 cc, successivamente aperta a motori a 500 cc. In seguito fece parte del team di progettazione della Macransa Panic (la prima vettura di formula del Minoru Hayashi di Dome); della Esso Uniflo FJ1300 e della Nova Engineering 02 (nel 1974). I soldi non erano abbastanza, quindi, dopo alcuni risultati incoraggianti in All Japan F2, smise di correre e contribuì come ingegnere e designer per alcuni progetti: la March 752 guidata da Walkinshaw nell’europeo F3, la March 792 BMW di Kaazuyoshi Hoshino, la famosa Kojima KE007, la Kojima KE008, La Royce RM-1 (auto da Grand Champion basata sulla March 792 BMW) che conquistò 8 podi e 6 pole, e le Toyota 83C e 84C, progettate quando fu incaricato come capo progettista telaio da Dome Co. Ltd. nel 1983.

I due si incontrarono all’inizio degli anni ’80, mentre Kaira lavorava per Dome. Tomita, che era amico di Minoru Hayashi, si unì al team per la 24 Ore di Le Mans 1980, aiutando la logistica (ad esempio portando un differenziale sull’aereo per la Germania). Tommy kaira nasce a Kyoto nel 1986 come brand per contrassegnare i prodotti della Tomita Auto Co. Ltd. (http://www.tomitaauto.com). Yoshikazu battezza la nuova avventura progettando e facendo erigere il nuovo edificio per le sue attività, chiamato “Yume Koujou” (Fabbrica dei Sogni), vicino al Tempio del Padiglione d’Oro (Kinkaku-ji) a Kyoto. Il simbolo della Tommy Kaira è alquanto inusuale: una tartaruga stilizzata, “riempita” con la trama di un filtro dell’aria. Così come la tartaruga della favola di Esopo raggiunge la meta lentamente ma inesorabilmente, il logo riassume tutto il percorso di Yoshikazu che, dopo anni di duro lavoro, arriva finalmente a coronare il sogno di quando era ragazzo: costruire l’auto dei sogni.

È in corso un dibattito su come deve essere scritto il marchio. A sostegno della scritta in due parole separate ci sono due dati di fatto:

tutte le registrazioni del marchio archiviate in TMview prima del 2010 mostrano che Tomita e Komura hanno sempre presentato domanda per una scritta formata da due parole, anche quando il logo con tartaruga venne registrato nel 1995. Solo dopo il 2010, quando il marchio è stato prestato a ER Corporation, la scritta è diventata di una sola parola. Dopo che ER ha smesso il marchio, è stato registrato un altro marchio “logo+scritta” ed esso mostra la scritta formata da due parole. La scritta sul loghi stessi suggerisce che questa sia composta da due parole: nel logo vecchio le due parole hanno caratteri e dimensioni diverse, mentre nel logo con tartaruga la Y e la K non sono legate, mentre tutte le altre, al contrario, lo sono.

A supporto della scritta a una sola parola ci sono altre due osservazioni:

in molti traduttori, la scritta composta da una sola parola è tradotto correttamente come ト ミ ー カ イ ラ, che è la dicitura usata sempre per riferirsi al costruttore. Se proviamo a tradurre lo script di due parole, a volte le due parole sono divise da un punto. Il punto viene utilizzato per separare due parole straniere, in modo che il lettore giapponese sappia quando finisce la prima parola e quando inizia la successiva. La scritta nel logo avrebbe potuto essere concepita senza tener conto del problema della divisione delle parole; se così fosse, anche se le parole sono separate, potrebbero effettivamente essere state pensate come unite in una parola sola. Se questo fosse vero, il marchio registrato potrebbe coprire solo la scritta del logo, ma non la parola del produttore stesso, che quindi sarebbe Tommykaira.

Atto costitutivo della Tommy kaira.

Tomita iniziò la sua esperienza nel tuning alla fine degli anni Settanta, quando ancora importava auto di lusso e sportive. Ispirato dalla famosa SEL “Red Pig” che dominò la Spa24H, prese la sua 350SL e ne migliorò le sospensioni e lo sterzo, scoprendo il potenziale nascosto di quella vettura. Successivamente sviluppo’ un kit per turbocompressore insieme a BAE (Bob’s Automotive Engineering, un’azienda specializzata in kit turbo), il “Turbo Hayate”, per la Mercedes SEC. Dal 1980 Passò all’importazione di AMG. La scelta ricadde su AMG in quanto Yoshikazu ammirava la società tedesca per essere riuscita a vendere auto elaborate e omologate, che invece in Giappone godevano di cattiva reputazione. L’accordo con AMG fu firmato sulla via del ritorno dalla 24 Ore di Le Mans 1980, a cui Tomita partecipò insieme al team Dome. Nella foto, si può vedere da sinistra a destra: il giornalista Giancarlo Perini (che traduceva dall’inglese al tedesco), Hans-Werner Aufrecht (amministratore AMG), Masahiko Kaneko (che traduceva dal giapponese all’inglese) e Yoshikazu Tomita. Nel giro di qualche anno l’accordo venne meno per questioni di immagine, per cui intorno al 1984 Tomita iniziò l’importazione di Hartge come Hartge Japan Co. Ltd. Lui era il team principal della scuderia Auto Beurex con cui la BMW 635 CSi vinse il titolo JTCC nel 1986. Se ricordate, Yoshikazu lavorò per una concessionaria Nissan di Kyoto quando aveva vent’anni. Diventò molto legato al suo capo, che era anche presidente della Associazione dei Dirigenti Aziendali di Kyoto, lo considerava un fratello maggiore. Fu il suo amico a consigliare Tomita alla Nissan. Un giorno, nel 1985, Yoshikazu si trovava a Tokyo per un viaggio d’affari e ricevette una telefonata che lo avvertiva del fatto che un team di dirigenti Nissan lo stava aspettando a Kyoto. Lo aspettavano in un ristorante di fascia alta, e tra questi c’erano il suo amico e presidente Nissan Takashi Ishihara. Fu nominato per sviluppare la Sunny e la Skyline che sarebbero entrate nella European Collection di Nissan. Lui e Kaira vennero invitati nelle sedi design Nissan, dove Yoshikazu fu incaricato delle modifiche interne, mentre Kikuo dei test su strada. Stavano anche sviluppando delle versioni elaborate della Sunny B12 per il suo 20° anniversario nel 1986, una Hartge e una per la European Collection. Allo stesso tempo, Tomita e Kaira stavano sviluppando la sua Skyline elaborata per Hartge Japan Co., ma Yasuharu Nanba della Nismo dichiarò nemico Hartge per aver sconfitto Nismo nel Campionato Giapponese Turismo (JTC) del 1985. Quindi, la European Collection R31 è stata passata a Nismo, che l’ha trasformata nella GTS Nismo Early Version, e poi nella GTS-R. L’Hartge HS30 fu sviluppata in modo indipendente da Tomita Auto, ma poiché Tomita voleva mantenere l’accordo con Nissan dovette abbandonare il marchio Hartge, e questa fu stata l’occasione per creare Tommy kaira. Poiché la Skyline aveva bisogno di più sviluppo, Tomita lanciò il suo nuovo marchio con una Mercedes 190E 2.0 elaborata, chiamata Tommy kaira M19. Tomita dice che la M19 dava paga alle 190E 2.3 Cosworth della Yakuza. Lo Skyline elaborata uscita nel 1987, divenne il secondo modello offerto: 240CV e 300Nm M30, basata sulla R31 Skyline GTS, più veloce della GTS-R. Solo pochi dettagli vennero modificati rispetto alla variante Hartge: il colore più scuro e lo stemma con la scritta del modello, che però conservava un font simile a quello BMW che veniva utilizzato per le Hartge. La Tommy Kaira M30 è stata quindi la prima macchina elaborata riconosciuta ufficialmente del Giappone, e contribuì enormemente a migliorare l’immagine dell’auto elaborata nel Paese, vista da molti come un oggetto per teppisti fino a quel momento.

La gamma Tommy Kaira spaziava dalle keicar monovolume come la Pleo e la Cube, passando per la March, arrivando alle Forester, le Legacy, le Cima, le Impreza, le Silvia, le Stagea, le Fairlady Z e infine le Skyline. Grazie alla presenza così capillare nei listini, il marchio divenne noto non solo tra gli appassionati delle auto più performanti come le Skyline e le Fairlady Z, ma anche tra i possessori di auto più modeste, che potevano sentirsi speciali senza doversi impegnare in un mezzo fuori dalla loro portata. La M30 ebbe un tale successo tra i concessionari Nissan che fu data la possibilità a Tommy Kaira di esporre la nuova M13 basata sulla March alla Nissan Gallery di Ginza. Per la March e la ER34 GT Turbo, Tomita era addirittura riuscito a inserire le proprie parti nei cataloghi ufficiali di alcuni Nissan Prince Store, come optional disponibili al momento dell’acquisto, aiutando sia le vendite di Nissan che quelle della Tommykaira, che nel 1994 avevano superato il migliaio di esemplari. Secondo Tomita, che la M30 Z32 da 350CV del 1991 fu la prima auto di serie a raggiungere i 290 chilometri orari nell’anello di Yatabe, e infatti fu la prima sportiva a “rompere” l’accordo dei 280PS. La Skyline divenne il modello di punta della Tommy Kaira, sia nelle versioni 2.0 (R31 e R32) e 3.0 (R31) che nelle versioni 2.5 (versione di punta a trazione posteriore) e 2.6 (GT-R). Fu addirittura mostrata ai dipendenti Nissan di Tokyo da Nissan stessa. La R fu portata nel 2001 all’Autobacs Greeting Day al Twin Ring Motegi, dove, secondo Tomita, Aguri Suzuki la elogiò poiché trasmetteva le stesse sensazioni della controparte da Super Taikyu, ma con dei freni adatti all’utilizzo stradale, e che Keiichi Tsuchiya rimase colpito dal bilanciamento.

Ogni Tommy Kaira era omologata come auto nuova, con il proprio numero di serie e la propria placca nel vano motore, per cui l’elaborazione meccanica, personalizzabile da catalogo (assetto Bilstein, scarico, radiatore, intercooler, aspirazione, pistoni, bielle, stroker kit…) era corredata da un kit estetico composto da più elementi opzionabili: cerchi scomponibili a sei razze, o cerchi monolitici in alluminio stampato o in magnesio forgiato, paraurti più o meno audaci per migliorare deportanza e penetrazione aerodinamica, ali vistose e spoiler attivi, diffusori, convogliatori… e anche da modifiche agli interni, tra leva del cambio, cruscotto, chiave di avviamento…

Il Pro-R, l’iconico cerchio dorato in lega di magnesio forgiato di Tommy Kaira, era probabilmente prodotto da Tan-Ei-Sya, che riporta sulla loro pagina sulla storia del marchio che nel 1998 hanno iniziato la produzione di una ruota di tali specifiche per un costruttore di auto. La maggior parte delle Tommy Kaira costruite fino al 1992 aveva un componente del vano motore colorato in una insolita tonalità di verde, per esempio nella M30Z era il copri-plenum in plastica. L’auto elaborata poteva essere acquistata in una filiale Tommy Kaira o in una concessionaria del produttore originale affiliata a Tomita. La preparazione dell’auto richiedeva mediamente tre mesi, dopodiché il veicolo veniva consegnato al cliente nella stessa sede in cui era stato acquistato. I bodykit e le componenti furono usati anche nel motorsport, come sulla Endless Advan Skyline GT-R che prese parte alla Super N1 Endurance Series del 1999 e 2000.

Uno sguardo da vicino alla Tommy Kaira R-L di un amico. La “L” sta per “light”, il che significa che questo allestimento era concepito per un’intensa attività in pista. Il nome sull’ECU è di Akira Matsumoto. In seguito, Akira ha gestito la Tomita Dream Sales, la M-Direction e ora fa parte di GLM nel team della ZZ.

La Tommy Kaira R-Z è stata l’apice sia della produzione della Tommy kaira, che delle Skyline omologate per la strada.

Questa è la Skyline R34 GT-R omologata più potente e veloce mai venduta da un produttore.

Il motore è ora capace di 530 CV e 546 Nm, grazie alla cilindrata aumentata a 2,7 litri tramite pistoni da 87 mm e stroking da 75,7 mm, nuovo albero motore (forgiato e equilibrato nel Regno Unito), alberi a camme, raffreddamento e scarico. La messa a punto è completata da molle e ammortizzatori Bilstein e freni AP Racing a 6 pistoni davanti e 4 pistoni dietro. Guidata da Aguri Suzuki, riportò che la R-Z differiva solo per un lato dalla BNR34 N1 da corsa: la frenata era molto potente ma identica a quella di una macchina da corsa.

Ad esempio, la Nismo Skyline Z-Tune è arrivata quasi cinque anni dopo, ma aveva meno potenza e meno coppia. Inoltre, la sua velocità massima è stata valutata a oltre 330 km / h, tenete questo bene a mente.

Auto dell’utente instagram r34gtr_tommy_kaira_rz

Elaborare auto e venderle come costruttore non era più sufficiente.

Era l’inizio 1991 e il sogno di Tomita e Kaira era sempre lo stesso: costruire da zero la propria macchina. L’auto sportiva ideale, semplice, leggerissima, dal prezzo abbordabile ma dalle intense sensazioni di guida.

Discussero del progetto in una riunione del consiglio di amministrazione, dove venivano chiamati ironicamente “nonni” poiché avevano quasi 50 anni.

Essendo entrambi vicini al mezzo secolo di vita, chiamarono il loro sogno avverato con l’abbreviazione “ZZ”, trascrizione di due volte “Ji”, che in giapponese si traduce appunto in “nonno”.

L’auto che Tomita e Kaira hanno in mente è una “barchetta” da corsa degli anni sessanta, ispirata alle macchine con cui da giovane Yoshikazu scorrazzava sulla Tomei Expressway ad alta velocità e alle formule con cui Kikuo aveva corso e che aveva progettato: dalla Lotus Seven per la vasca del telaio a forma di freccia, dalla Porsche 356 per i suoi sbalzi corti, dalla Porsche 904 GTS da cui ha ereditato il layout meccanico (quasi, per via del motore boxer) e le sensazioni di guida , dalla Alpine A108 per i fari, dalla Porsche 912 per la scelta di un motore più piccolo, meno potente ma anche meno pesante, che rendesse il comportamento della vettura più amichevole.

La semplicità dell’auto fu un fattore determinante anche nel processo di progettazione: l’auto è stata concepita appoggiando sul pavimento parti prelevate dagli scaffali, come il motore, la trasmissione, le ruote, i sedili, dato che volevano utilizzare più parti esistenti possibile per contenere i costi.

Nel 1992 un muletto di prova era già pronto e fu iniziato il lavoro di setup e sviluppo del telaio con gli pneumatici Dunlop, con Keiji Nakajima e lo stesso Kikuo Kaira al volante (puoi vedere Kikuo nella foto). Il muletto di prova era così leggero che dopo alcuni giri le gomme non si erano nemmeno consumate, contrariamente a quanto si aspettava lo staff Dunlop.

Nel 1993 viene aperta una sede di ricerca e sviluppo a Kameoka, vicino a Kyoto. La progettazione fu affidata al team del vice-presidente Kaira, e dopo mesi di test, con il supporto di vari piloti, la “sportiva ideale” fu presentata il 24 Luglio 1995 al Prince Hotel di Tokyo, in diretta TV, di fronte a 150 persone tra cui 10 testate giornalistiche estere e il presidente di Nissan America a presenziare l’evento.

Dopo un mese, Tomita chiuse gli ordini con 430 acconti ricevuti.

Il 3 Giugno 1996 vide la luce la Tomita Auto UK Ltd., nel complesso industriale di Ironside way a Hingham nel Norfolk: una costola della Tomita Auto Co. Ltd. (la corporate company) per costruire la sportiva ideale nell’arco di tempo di tre anni al ritmo di 12 vetture al mese.

Il presidente della compagnia non era altri che l’ex pilota di F1 e prototipi Hiroshi Fushida, presidente anche di TOM’S GB e già residente a Norwich, una leggenda in Giappone ancora oggi.

Avendo vissuto a Kyoto, era a conoscenza del progetto ZZ sin dall’inizio. Conosceva Tomita e Kaira dal 1972, quando Tomita Auto era appena stata creata. Fushida ha poi lavorato con Kaira nel team Esso Racing correndo con le formule di bassa cilindrata (Formula Libre 500, Formula Junior 1300, Formula Junior 2000 e così via).

[TOM’S GB era la filiale inglese di TOM’S fondata per fornire i motori alle Euro F3 di TOM’S e costruire le Toyota Taka-Q da Gruppo C: la società è stata successivamente acquistata da VW nel 1998 e trasformata in Racing Technology Norfolk, che ha progettato e prodotto la Bentley Speed 8, con Fushida come amministratore delegato.]

A Luglio invece la Dream Factory diventa una società: la costruzione delle auto non fa più capo alla Tomita Auto Co., ma alla Tomita Yume Koujou Ltd., con cui vengono gestite sia importazione, che immatricolazione, che vendita. Perché costruire in Regno Unito un’auto da vendere solo in Giappone?

Oltre a questioni pratiche, cioè trarre vantaggio dalle agevolazioni sui crash test per i piccoli produttori, l’Inghilterra era la patria delle auto sportive e da corsa di piccola produzione, quindi sarebbe stato più facile e meno costoso trovare lì fabbrica e lavoratori già formati invece che in Giappone. In effetti, la maggior parte dei lavoratori della Tomita Auto UK erano ex meccanici Lotus.

Il design della vettura fu portato avanti durante il 1993 insieme al progettista della Mooncraft, Takuya Yura, che curò la modellazione del modello in scala e quindi della realizzazione dello stile. Il design proposto da Yura era così bello che Tomita se ne innamorò, quel tipo di amore che una persona può provare per il proprio animale domestico.

La carrozzeria in fibra di vetro vanta delle forme uniche, a partire dalla linea di cintura filante, ma raccolta in coda; gli sbalzi ridottissimi, con un muso rotondo e dei fari circolari non carenati, per metà incassati nel cofano e per l’altra metà in rilievo, come per la Alpine A110 da cui fu tratta ispirazione, e una coda tronca che guarda all’insù.

La carrozzeria veniva costruita in Kent e verniciata da Tomita Auto UK.

Il tettuccio asportabile ha la doppia gobba, firma di Zagato; visivamente è un prolungamento slanciato del parabrezza che si adagia dolcemente sul roll-hoop in tubi di acciaio. Ha la particolarità di poter essere smontato e ospitato sopra il cofano motore in un modo che richiama fortemente il posteriore della storica Porsche 718.

Curiosamente, le caratteristiche portiere della ZZ non erano in realtà previste nel concept iniziale e furono aggiunte in un secondo momento, ma senza maniglia esterna, poiché non erano previste serrature. Anche per questo motivo, nemmeno acquistando l’hardtop si ricevevano dei finestrini fissi, poiché la maniglia interna doveva essere raggiungibile senza rimanere chiusi fuori.

Il piccolo tettuccio può essere fissato al cofano motore con quattro bulloni, uno su ciascuno dei suoi quattro angoli, progettati per mantenere il pannello fluttuante e per far passare un po’ d’aria nelle feritoie del cofano.

Un particolare presente nel concept, ma scartato in produzione, era un profilo di gomma da applicare sul bordo del cerchio, per evitare di rovinare la ruota contro i marciapiedi.

A testimonianza di quanto l’auto fosse concepita per essere usata in ogni contesto, seppur priva persino di finestrini (l’hardtop era un accessorio da una ventina di chili), ripagando ogni scomodità con un piacere di guida puro e distillato.

L’hardtop aveva il lunotto in acrilico e i finestrini in polipropilene, apribili con una lampo lungo il loro perimetro.

Il telaio, costruito dalla stessa Arch Motor di Huntingdon che forniva i telai delle Lotus Type 7 e 23 e che produceva parti per Lola, Ford GT40 e altri prototipi, era una vasca in estrusi di alluminio a sezione quadrata, saldati, a cui erano imbullonati due telaietti in acciaio: uno a sostegno delle sospensioni e del guscio anteriori, uno a sostegno del motore, delle sospensioni e del guscio posteriori. Più precisamente, ogni triangolo delle sospensioni anteriori aveva un perno collegato direttamente al telaio, come nelle auto da corsa.

Altri particolari del telaio furono fabbricati presso la Tomita Auto UK o importati dal Giappone.

L’assenza di qualsivoglia comodità e rifinitura (leveraggi del cambio e dei pedali a vista, pavimento in nudo alluminio…) contribuiva a fermare l’ago della bilancia 50kg più in basso che per la Lotus, a 670kg.

I freni erano composti da quattro dischi AP Racing (autoventilati solo davanti), con opzionale una pinza Brembo a due pistoncini all’anteriore.

Gli ammortizzatori erano Bilstein e poteva essere installato un assetto con molle da 4 e 6 kg/mm rispettivamente all’anteriore e al posteriore.

Se non fosse bastato ciò, non c’è un fiacco Rover serie K a dare coppia alle ruote posteriori con battistrada da 205mm, ma quello che sarebbe giusto chiamare un Nissan SR20DS, preso in blocco insieme alla trasmissione della Nissan Primera HP10, spedito “nudo” da Nissan Netherlands a Norwich.

Se vi chiedete dove è finita la “E” che è solitamente presente nel codice motore, vi stupirà sapere che è stata “spazzata via” da due carburatori da moto, i Keihin FCR da 45, capaci di alimentare il motore fino a 180PS nella versione base, o 195 nella versione più spinta (ZZ-S).

Nonostante l’alimentazione a carburatori e grazie alla sua leggerezza, la ZZ consuma mediamente 10km/l e arriva a 12 con una guida attenta.

Come per le altre Tommy Kaira, erano disponibili a listino vari stage e optional per il motore e la ciclistica. Lo Stage 1 per 600 JPY comprendeva: sedi valvole lucidate, albero equilibrato, camme ad alzata maggiorata, nuove pulegge per la distribuzione, nuova guarnizione di testa e un setting generale dell’alimentazione. Lo Stage 2 per 1.060 JPY aggiungeva allo Stage 1: pistoni SR16VE, bielle rinforzate, nuove molle valvole, candele NGK, guide valvole in bronzo, pistoni riequilibrati, testa lucidata. Lo Stage 3, tramite pistoni appositi con CR di 12:1, portava la cilindrata a 2 litri e 2, mentre lo Stage 4 prevedeva testata a iniezione elettronica con centralina riprogrammata intervenendo su anticipi e iniezione.

Erano disponibili, per migliorare la risposta, un volano alleggerito (da 8.7 kg a metà) e un rapporto finale accorciato.

Il carburante era stipato in un serbatoio da 45L posizionato appena dietro il sedile del passeggero, in modo da non rubare spazio al conducente in un’auto già piccola di per sé.

Inizialmente venne giudicata come una copia della Lotus Elise. Tomita chiarì che la ZZ fu concepita prima. Infatti, un muletto della ZZ era già in fase di test nel 1992, mentre la Lotus fu venduta alla ACBN Holdings (di Romano Artioli) il 27 Agosto 1993 e il piano produttivo per la M111 fu approvato nello stesso periodo. Il capo progetto Tony Shute affermò che il progetto Elise cominciò nel 1994, mentre il concorso per il design indetto da Benedini e vinto da Thompson fu lanciato a inizio 1993.

Le riviste (soprattutto inglesi) che la provarono rimasero meravigliate: era la prima volta dopo tanto tempo che una giapponese conquistava la copertina di un magazine automobilistico estero. Nei test alcuni giornalisti percepirono meno dettaglio nello sterzo rispetto alla Elise, mentre si dimostrò più veloce della Lotus, più piantata a terra, con un feeling da auto da corsa, ma con una dinamica che fatica a perdonare ingressi in curva troppo coraggiosi, a vantaggio di un anteriore reattivo. Ebbe la meglio della Elise standard, ma essendo fatta a mano con componenti di maggiore qualità, il suo prezzo di 5 milioni di Yen la posizionava allo stesso livello della Elise Sport 190, che era più vicina a un’auto da corsa della ZZ.

In una prova di Best Motoring sul circuito di Tsukuba, Keiichi Tsuchiya conclude un giro a bordo di una ZZ in un minuto, sette secondi e 40 centesimi, cioè quanto una Civic del 2015, una Skyline GT-R R32 V-Spec, una Lancer Evolution IV, una 993 4S… comunque due secondi più veloce di una Elise S1 guidata sempre da egli stesso. Non male per un’auto nata principalmente per soddisfare il piacere di guida e non il prurito da tempo sul giro.

L’auto riusciva a raggiungere i 100km/h in poco più di 4 secondi e i 240km/h come velocità massima.

La ZZ fu consegnata a partire dal Luglio 1997, ma la produzione fu interrotta già nel Marzo 1999 dopo che il Ministero dei Trasporti giapponese annunciò l’aggiornamento degli standard di sicurezza negli urti frontali dai criteri europei (e quindi anche inglesi) a quelli americani, i quali non prevedevano deroghe ai piccoli costruttori. La ZZ sfruttava proprio questo loophole legislativo per non dover sostenere dei test dispendiosi alla portata delle soli grandi case automobilistiche, le quali potevano permettersi di investire a monte dei capitali molto più importanti.

L’improvvisa interruzione delle omologazioni impedì a Tomita la vendita degli esemplari in quel momento pronti ma non ancora registrati. La produzione fu interrotta ma la mancanza di introiti portò al tracollo della società inglese legata alla fabbrica, che si trovò con un centinaio di vetture a prendere polvere in attesa di un futuro.

Il danno economico fu tra il quarto e il mezzo miliardo di yen.

Tomita ha in mente di risolvere questo disguido con un’evoluzione radicale della ZZ: la ZZ-III, dotata di più comfort e dal peso leggermente superiore, disponibile con motori 1.6 e 2.0 a iniezione e gestione elettronica e a richiesta anche un cambio CVT per chi l’avrebbe usata in città.

Il Tommy Kaira Owner’s Club, un gruppo di fedelissimi proprietari che interagivano a stretto contatto con Tomita (durante i ritrovi venivano anche svelati i nuovi modelli in anteprima), iniziò una raccolta fondi per sostenere le perdite della Tomita Yume Koujou.

Il Ministero tornò sui suoi passi pochi mesi dopo. Nel dicembre 1999 fu raggiunto un accordo tra la Tommy Kaira e la AUTOBACS, per cui nel 2000 la Tomita Auto UK Ltd. fu ceduta alla AUTOBACS stessa, insieme al sito di ricerca e sviluppo di Kameoka.

Il governo britannico aveva bisogno di qualcuno che rilevasse Tomita Auto UK. L’ingegnere Mike Rawlings si offrì, quindi a sua volta chiese a Mark Easton di unirsi e creare la Breckland Technology (in seguito costruiranno la Mosler MT900 e la Breckland Beira). Ciò permise la ripresa della produzione della ZZ, spostando la costruzione a East Dereham, a una trentina di chilometri da Norwich. Poi acquistarono le attrezzature della Tomita Auto UK e una ZZ completa (la Mk1 gialla usata dalla stampa) a un’asta, così erano pronti per iniziare la produzione. Successivamente, fu raggiunto un accordo con Tomita e Kaira, in modo che Tommy kaira prendesse da loro 5 ZZ prodotte al mese.

Il 26 Settembre del 2000 fu annunciato che la ZZ sarebbe ritornata in vendita in una versione aggiornata con leggere modifiche (visibile in alcuni articoli nelle immagini precedenti): gomme anteriori da 195mm invece che 205, bracci di sterzo rinforzati, radiatore frontale, nuovi colori, 5PS in più di potenza, 5Nm in più di coppia e un peso di circa 30kg superiore. La vettura era quindi prodotta dalla Breckland Technology e venduta anche sia da Tommy Kaira che AUTOBACS nei suoi store, da quest’ultima anche con una versione personalizzata chiamata ZZ’A. Lo stile fu aggiornato dalla nuova acquisizione della Dream Factory: Noriyuki Nishida della Design Apple.

Si dice che siano state prodotte tra le 15 e le 25 unità della ZZ aggiornata, comprese quelle nella specifica elaborata, la ZZ’A.

Una ZZ EVO fu inizialmente prevista in sostituzione della ZZ, basata sullo stesso telaio, con una carrozzeria coupé a tetto rigido. Lo sviluppo è arrivato solo a un modello in clay, ma l’acquisizione da parte di AUTOBACS ha fatto sì che altri progetti avessero una priorità maggiore. Comunque, il suo design non è andato sprecato …

La sinergia tra i due marchi diede vita il 2 Aprile 2001 alla ASL (AUTOBACS Sportscar Laboratory Co Ltd). Il logo della ASL è un colibrì, che, con la sua capacità di mantenersi in quota sbattendo le ali 18 volte al secondo, è fonte di ispirazione per le leggere e agili sportive della AUTOBACS.

Il team di sviluppo di Kameoka venne integrato con nuovo personale, tra cui Aguri Suzuki in persona, e cominciò a testare e sviluppare una nuova sportiva nel complesso del Millbrook Proving Ground, situato tra Bedford, Luton e Milton Keynes.

La produzione delle ZZ terminava nel dicembre 2001, cosicché ASL potesse produrre la Garaiya, presentata proprio il 4 Dicembre 2001

La Garaiya fu piazzata a 6,5 mln di JPY, con obiettivo di produzione di 100 unità e un ritmo di 4 unità al mese, ma già 60 di esse sono state ordinate prima del rilascio ufficiale.

Mark Easton e Mike Rawlings della Breckland Technology furono incaricati dello sviluppo iniziale, rinforzando il telaio della ZZ e trasformando il modello in scala 1/4 realizzato da Nishida nella carrozzeria in FRP a grandezza naturale, tutto eseguito in un paio di mesi.

Il team di sviluppo delle auto complete di Kameoka fu integrato con nuovo personale, tra cui lo stesso Aguri Suzuki e altri piloti professionisti, e alla fine di agosto 2002 furono completati i test e lo sviluppo della nuova vettura presso il complesso di Millbrook Proving Ground, situato tra Bedford, Luton e Milton Keynes.

La Garaiya è probabilmente la continuazione del progetto ZZ-III: una ZZ rivisitata per un uso a tutto tondo, da 900kg, dotata di un SR20DE a gestione elettronica da 206PS dichiarati abbinato a un cambio a 6 marce preso dalla Primera P12 20V, che includeva tetto chiuso, freni maggiorati a 4 pompanti, radio, climatizzatore e fari posteriori della Alfa Romeo 147 amalgamati nello stile disegnato dalla Design Apple. L’auto ha anche portiere a forbice, progettate per rientrare nei 150cm di altezza, per poter essere aperte nei parcheggi coperti.

Il nuovo motore però faticava a coprire la potenza dichiarata, arrivando a 175PS, e il lunotto fatto in Spagna poteva dare luogo a fenomeni di bagliore di notte.

La Garaiya avrebbe dovuto essere prodotta in Portogallo, ma dopo 1 primo prototipo costruito a Kameoka, 7 esemplari di pre-produzione e 4 auto di produzione costruite a Norfolk, non raggiunse la regolare produzione.

Anche se l’auto veniva esposta per diversi anni a saloni, saloni automobilistici e SuperAutobacs Store, nel 2005 il progetto è stato abbandonato e la Garaiya ha trovato il suo unico vero sbocco come prototipo in GT300, segnando con l’Autobacs Racing Team Aguri (ARTA, di Aguri Suzuki) risultati significativi tra cui quattro podi nella classifica finale tra il 2004 e il 2010.

La Garaiya saltò solo la stagione 2007: nel 2006 Suzuki minacciò di chiudere la squadra se non avesse vinto il campionato. In realtà lo fece, ma l’anno successivo tornarono in GT300.

Brochure della Garaiya

Articoli speciali sulla Garaiya inclusi in dei magazine mensili da Autobacs.

Alcune foto dalla fabbrica grazie a Kikuo Kaira.

12 è la quantità di Garaiya costruite: 1 prototipo, 7 auto di pre-produzione e 4 auto di produzione. Il prototipo e gli esemplari di pre-produzione sono caratterizzati dal cruscotto originale diviso e hanno il tappo del carburante montato sul montante del tetto. Gli esemplari di produzione presentano il successivo cruscotto in un unico pezzo, i condotti NACA sui fianchetti posteriori e il tappo del carburante spostato accanto alla presa NACA sul lato sinistro. Le ruote del prototipo erano probabilmente realizzate su misura da Tan-ei-sya, ma per le unità successive sono state sostituite da Rays Volk CE28N prima e Emotion CR Kai poi. L’ala era probabilmente un’opzione inclusa in un allestimento più sportivo e vide i punti di fissaggio distanziati ulteriormente per le auto di produzione al fine di ridurre la flessione del cofano bagagli sotto carico e migliorarne la stabilità, sebbene l’ala fosse più una caratteristica stilistica che funzionale. Le ultime due immagini sono una ricostruzione su quali sono le 12 unità, supponendo che nessuna di esse sia stata riverniciata o che le loro caratteristiche principali siano cambiate (cruscotto, tappo del carburante, ala)

Tomita ritorna quindi a dedicarsi alla sola elaborazione e il 1 maggio 2002, in coincidenza con l’anniversario della fondazione della Tomita Auto Inc, crea la Tomita Dream Sales Inc, con una sede a Kyoto distaccata di qualche km dalla Dream Factory, per gestire indipendentemente la vendita di auto elaborate.

Le vendite nel solo mercato Giapponese non permettevano purtroppo di sostenere il sito produttivo in Inghilterra, per cui nel Giugno 2002, dopo sole 220 vetture prodotte, 206 registrate come Tommykaira, una finita in crash test, e 12 Garaiya su 430 unità inizialmente pianificate, la produzione fu definitivamente terminata, e la fabbrica ceduta in toto alla Breckland Technology, che stava già costruendo le Garaiya. A Easton e Rawlings si aggiunsero nel 2001 Oliver Winterbottom (famoso progettista Lotus che aveva lavorato insieme a Rawlings in TVR vent’anni prima) e nel 2002 Paul Mickleburgh.

Mickelburgh voleva vendere l’auto anche negli US, così il 7 Giugno 2002 stabilì la Leading Edge Sports Car Company, a Tasburgh, con un logo di ispirazione aeronautica a testimoniare la qualità dell’esperienza di guida. La nuova compagnia mise a punto una rivisitazione della ZZ: la Leading Edge RT, perfezionata tramite la modifica del serbatoio (ora spalmato dietro entrambi i sedili), la riprogettazione delle sospensioni posteriori per ridurre il sovrasterzo, l’adozione di pneumatici posteriori da 235mm, e di zone di assorbimento urti nei telaietti. Era prevista in due versioni, da 190 con carburatori Mikoni, e 240CV, quest’ultimo con iniezione elettronica e testata SR20VE. Nel 2004 i freni vennero aggiornati a dei Willwood a 4 pistoni, mentre furono aggiunti come optional un hardtop e un’ala a due profili. Furono apportate modifiche estetiche, con fari anteriori più piccoli e sdoppiati in stile TVR e ruote simil-Lotus da 17″. Le modifiche portarono l’auto a un peso leggermente superiore ai 720kg.

Il comportamento dell’auto era ancora preciso nelle curve, ma tendente al sottosterzo una volta al limite dell’aderenza, il quale era già molto alto prima delle modifiche.

Nel 2004 fu pianificato che la 240RT ricevesse il 1.8 turbo della Seat Ibiza Cupra, portato a 265BHP, ma non ci sono ulteriori prove del fatto che ciò sia avvenuto.

L’auto fu messa a listino intorno alle 30mila sterline e venduta in pochissimi esemplari, probabilmente si limitarono ad assemblare le 5 o 6 auto rimanenti: quelle dimostrative erano una 190RT rossa guida a sinistra (che andò negli USA), una blu guida a destra, una 240RT gialla guida a destra aggiornata in Motorsport (versione per British GT, probabilmente con camme da BTCC e potenza intorno ai 300PS), e una 240RT blu scura. L’auto fu promossa tra il 2002 e il 2003 a qualche fiera (NEC Birmingham, Goodwood FOS), a qualche trackday o in test giornalistici (EVO; Autocar) tra i circuiti club inglesi (Ethel, Anglesey, Castle Combe, Donington…). Dopo un rilancio nel 2005 con una 240RT aggiornata (di cui esiste una sola foto poiché il sito scompare nel 2003), nel 2006 la Leading Edge cessa di esistere, dopodiché i progetti vengono nuovamente venduti ma senza alcun seguito.

Nel frattempo intorno al 2010 è già in sperimentazione una ZZ con motore elettrico, basata sull’auto dimostrativa che era stata usata per mostrare a potenziali clienti le qualità dell’auto. Matsumoto le aveva installato un motore elettrico e batterie e rimosso il cambio.

Il 2 diicembre del 2010 venne annunciata la ZZ-EV, con un motore elettrico da 300CV, 400Nm, limitata a 150km/h, da 100km di autonomia (volutamente pochi per mantenere il peso della batteria ridotto, ma espandibile) e con un peso di 780kg, sviluppata da una società in seno alla facoltà di ingegneria dell’Università di Kyoto, la Green Lord Motor, in cui figura Yoshikazu Tomita come consigliere e direttore esterno, gestita e animata anche da ex dipendenti della Dream Factory/Dream Sales.

L’auto venne presentata nel 2016 a marchio Tommykaira, rilevato per l’occasione dopo che la Rowen l’aveva acquistato intorno al 2009 e abbandonato nel 2014.

La GLM Tommykaira ZZ è la prima auto al mondo a montare un parabrezza portante senza montanti, opera della Teijin, e una delle prime auto sportive a vedere installato un sistema di assistenza alla guida (progettato dalla Kyocera).

Anche la ZZ-EV è stata disegnata dalla Design Apple.

ZZ da corsa e derivate.

La prima vettura, ZZ dimostrativa e muletto, ha il radiatore anteriore e veniva utilizzata per portare i clienti in pista per alcuni giri con piloti professionisti al volante.

La seconda vettura, una ZZ’A, è stata probabilmente utilizzata per lo stesso scopo.

La terza vettura è la ZZ di Jack Towler. È stata acquistata in Inghilterra e ha corso nella divisione Roadsport della serie 750 Motorclub (750MC) Racing nel 2003-2004.

La quarta macchina è una versione da gara estrema di una ZZ N/A. Probabilmente è stata acquistata per 17000 sterline alla LSCC, dato che lì una ZZ gialla originale era in vendita nel 2004. Presenta un’ala montata a telaio, splitter anteriore e canard, sfoghi pressione, airbox dinamico, coilover AVO regolabili da gara su uniball, freni Willwood da gara, cambio a 6 marce a denti dritti proveniente da una Primera BTCC, motore ricostruito secondo specifiche BTCC con albero motore ricavato dal pieno, iniezione elettronica, ITB e ECU da gara per oltre 270 CV. È stato costruita da John Timewell per competere contro la ZZ di Jack Towler

La quinta vettura è la Leading Edge 240RT Motorsport, probabilmente sviluppata dopo la ZZ di Timewell.

La sesta vettura è una Garaiya dorata preparata da SuperAutobacs Toda nel 2003 per partecipare ai Time Attack a Tsukuba. Monta un SR20DET con 430PS che spostano solo 1020 kg. È stata esposta al Motor Show di Tokyo del 2003.

La settima vettura è la ASL Garaiya della Fuel Bank EVO, costruita dal garage del SuperAutobacs Omiya Bypass intorno al 2007 sull’auto del S.A. Toda. Il disegno mostra le somiglianze, nonostante l’auto indossi la prima iterazione della sua livrea rossa. È stata mostrata al Motor Show di Tokyo del 2008 e probabilmente ha subito ulteriori modifiche oltre al suo stile.

L’ottava macchina è una ZZ ampiamente modificata con uno swap SR20DET che produce 380 CV. L’auto è stata venduta nel 2013 da Run & Bell, a Hiroshima.

Tornando al 1999, dopo che la produzione della ZZ fu sospesa per problemi di omologazione, Tomita e Kaira vollero persistere nel raggiungere l’obiettivo di produrre l’auto dei sogni, spinti da un caloroso benvenuto da parte della stampa per la prima vettura concepita interamente da loro.

La nuova idea era vendere un’auto tanto robusta ed efficace da poter essere impiegata nei campionati GT (FIA o All-Japan) cambiando soltanto i materiali di consumo, ovvero gomme, dischi, pastiglie e frizione, aggiungendo un alettone, ed eventualmente sostituendo il motore a seconda della categoria, dai 2 litri fino a 3 litri e mezzo di cilindrata (ma ci sarebbero stati anche un V8 e un V12). Tomita non guardava solo al Giappone, ma anche e soprattutto all’Europa e agli Stati Uniti.

L’essenzialità dell’auto e l’uso di componenti poco esotici avrebbero dovuto limitare il prezzo sotto i 10 milioni di yen (pari a 95mila dollari nel 2001 e 135mila dollari oggi, considerando il potere d’acquisto). Inoltre, la maggiore rifinitura degli interni e nella costruzione la resero una vettura completa da usare a tutto tondo senza eccessivi sacrifici.

Essendo l’evoluzione della ZZ, la chiamarono ZZII. La presentazione sarebbe dovuta avvenire al Salone di Francoforte 2001, ma ciò non avvenne dato che l’auto probabilmente non era ancora pronta, così la ZZII fu esposta al pubblico per la prima volta al Tokyo Auto Salon del 2002, qualche mese dopo.

Partirono dal collaudato e leggerissimo telaio in estrusi di alluminio e installano quello che è il loro cavallo di battaglia preso dalla R-Z, un sei cilindri in linea biturbo con 530PS e tanta coppia.

Il risultato di questo innesto sarebbe stato una berlinetta da 550PS e più di 330km/h, capace di fermare l’ago della bilancia sotto la tonnellata e di raggiungere da ferma i 100 chilometri orari in due secondi e otto decimi.

Ad esempio, la Nismo BNR34 Z-Tune può raggiungere i 330 km/h con cinquanta cavalli in meno, 20 Newton metri in meno di coppia, mezza tonnellata in più di peso e l’aerodinamica di un mattone. La ZZ-II potrebbe fare di meglio.

Inoltre, per fare un confronto, la B-Engineering Edonis, un’altra supercar mai sbocciata, registrò 360 km/h ma, se fosse pesata tanto quanto la ZZ-II mantenendo il proprio rapporto peso/potenza, avrebbe avuto tra 500 e 610 BHP, a seconda del peso reale della Tommy Kaira.

In foto: un telaio-muletto per il collaudo e la verifica di organi e componenti.

Il telaio nudo della ZZII.

La ricetta non si ferma a enormi potenze. Il telaio ibrido della ZZ (vasca saldata di estrusi di alluminio a sezioni quadrate e tubi in acciaio, sempre prodotto nel Regno Unito) viene modificato. Il metodo di produzione rimane lo stesso, con gli estrusi in alluminio a sezione quadrata saldati, ma la vasca assume una forma bombata per ospitare meglio gli occupanti evitando di disporre i sedili ruotati verso l’interno, garantendo con la sua sponda una protezione anti intrusione fino all’altezza della seduta. Inoltre il telaio si allunga, soprattutto al retrotreno, per ospitare longitudinalmente, girato di 180°, il nuovo sei cilindri, decisamente più lungo dell’SR20 trasversale, portando a un aumento del passo per 275mm.

Il telaietto anteriore questa volta è progettato in modo da rispondere alle norme sulla sicurezza in caso d’urto per le auto di larga produzione.

Il sistema di raffreddamento è migliorato, con l’uso di un radiatore anteriore inclinato di circa 60 gradi che attinge dalla calandra, con le prese d’aria nei montanti posteriori del tetto, all’estremità dei finestrini incassati (come sull’F40).

L’alimentazione dell’intercooler è aiutata da tre prese d’aria: due di esse sono realizzate con airscope che partono dal parabrezza e terminano sul retro dell’estremità più lontana del vano motore. La loro sezione si restringe verso l’esterno man mano che si avvicinano al motore, per aumentare la velocità del fluido. In questo modo, tra di loro si ottiene un’altra presa, che ha la forma di un grande condotto NACA, con una gigantesca superficie di aspirazione proprio dietro il motore, che a sua volta può essere ammirato attraverso il minuscolo lunotto.

Il risultato è che il motore può sfruttare l’intera larghezza del tetto per l’alimentazione d’aria, ma senza i problemi aerodinamici di un airscope a tutta larghezza.

Il cuore della berlinetta è un RB26DETT sempre biturbo, modificato con un alesaggio di 87mm e una corsa di 75.7mm, portando la cilindrata a 2700cc, con pistoni forgiati in alluminio con fasce rivestite in titanio, nuove bielle con sezione ad H rovesciata, albero alleggerito e riequilibrato prodotto in Inghilterra, accensione da corsa, sedi valvole lucidate, guarnizione di testa metallica, camme riprofilate ad alzata maggiore, molle valvola rinforzate, nuova centralina, intercooler maggiorato con pompa acqua Skyline N1, nuova turbina Garrett, iniettori e pompa benzina maggiorati, catback da 3.5”, centrale di scarico Fujitsubo e finale Tommy kaira.

Tutto questo permetteva di raggiungere 550PS verso i 7500 giri/min e circa 540Nm@6000rpm. Il motore non superava gli 8000 giri perché, come riportato da Kaira, il picco veniva raggiunto prima, a differenza di quanto suggerisce Gran Turismo. Forse il limitatore di 9000 RPM era vero per la prima iterazione del concept, che probabilmente aveva 600BHP e trazione posteriore, come in Gran Turismo 2.

A differenza della BNR34, qui l’RB26 non è posizionato sopra l’assale, quindi è stata progettata una nuova coppa, poiché il differenziale non si trovava più a lato del carter stesso.

La trasmissione a sei rapporti è la stessa Getrag mutuata dalla Skyline GT-R in blocco con i differenziali, assieme all’elettronica del sistema ATTESA E-TS Pro, opportunamente modificati dato che il motore è ruotato di 180 gradi insieme al cambio, che ha quindi la griglia rovesciata (notare la leva del cambio in prima marcia). Dato che le ruote hanno diverso diametro, fu progettata una scatola di rinvio modificata.

La nuova posizione del motore ha permesso di posizionare i differenziali indipendentemente da com’erano sulla Skyline, così sono stati presi dalla GT-R senza essere invertiti, come per il cambio.

Le sospensioni sono doppi triangoli sovrapposti con configurazione pushrod, differenti all’avantreno con molla-ammortizzatore (Bilstein personalizzati da Tommy Kaira) disposti orizzontalmente sotto al cofano. Gli steli sono accessibili rimuovendo il cofano anteriore, di forma simile a quello della McLaren F1.

Le ruote sono le Tommy Kaira Pro-R forgiate in lega di magnesio, sterzate da un sistema a pignone e cremagliera privo di servoassistenza. Le dimensioni si attestano sui 245/40 ZR 18 davanti e 285/30 ZR 9.5×19 JJ dietro. Attualmente l’auto monta gomme da 225mm davanti e da 295mm dietro.

L’impianto frenante è composto da quattro dischi baffati autoventilanti AP Racing e pastiglie PFC, con misura di circa 370mm e 6 pistoncini all’anteriore e di circa 320mm e 4 pistoncini al posteriore. I dischi anteriori sono raffreddati dalle due prese d’aria triangolari ai lati della calandra.

La carrozzeria doveva essere in CFRP, ma nell’unico prototipo esistente è realizzata in FRP; i pannelli in fibra di vetro sono rivestiti con un gelcoat nero, come si può vedere dalle foto scattate nell’officina Meisan di Fujio Yagi a Kyoto, un’azienda specializzata nella produzione di FRP e policarbonato. Il peso di 1000 kg si riferisce probabilmente alla versione con carrozzeria in fibra di carbonio, mentre il prototipo con pannelli in fibra di vetro dovrebbe pesare solo un pelo sotto i 1200 kg, come riportato sul sito web AUTOBACS. Alcuni ipotizzano che i 1000 kg siano legati all’auto con carrozzeria in fibra di vetro, quindi il peso di quello con carrozzeria in carbonio avrebbe potuto essere di 900 kg.

Il corpo vettura raggiunge le dimensioni di 4 metri e 30 in lunghezza,1 metro e 96 in larghezza e 1 metro e 19 in altezza.

L’estetica fu progettata dalla Design Apple, uno studio di design e architettura dei fratelli Nishida di Kyoto, che già disegnava i bodykit per le Tommy Kaira. Nishida è visibile nell’ultima foto accanto all’auto.

La linea è probabilmente uno degli aspetti più significativi della ZZ-II: nonostante siano passati 20 anni da quando fu partorito il design definitivo il 18 Dicembre 2000, l’estetica non risente troppo dello scorrere del tempo, soprattutto contando che siamo già nel 2020 e là fuori c’è uno stuolo di supercar incattivite.

In quel periodo storico a cavallo dei due millenni le supercar non si presentavano ancora con un’aria minacciosa, al contrario di come siamo abituati oggi. Le “concorrenti”, la Ferrari 360, la Porsche 996 GT3, la Dodge Viper GTS, la Aston Martin Vanquish, risultano molto meno minacciose comparate a una linea tanto filante, aggressiva, tesa e scolpita come quella della ZZII.

Kaira supervisionò il processo di progettazione. Il primo concept era una vera e propria auto da corsa con le targhe. Una delle caratteristiche principali della ZZ-II era il telaio della vasca in alluminio leggero e rigido, quindi, come si può notare sia nei disegni che nei primi modelli, una parte di esso era doveva essere esposta sul lato dell’auto. Lo stesso vale per la parte superiore del telaio, con gli archi del tetto a vista.

Tuttavia, in seguito il concept fu leggermente trasformato in una supercar più raffinata, quindi il telaio dovette essere nascosto. Il cuore del design diventarono le linee e i bordi tesi, e le superfici complesse.

Come ho detto prima, Nishida era stato precedentemente incaricato del design della ZZ di seconda generazione, chiamata ZZ EVO, che doveva essere offerta in una versione coupé, ma che non è mai stata finalizzata.

Un paio d’anni dopo che il concept della ZZ-II passò dall’auto da pista dura e pura a una supercar raffinata, recuperò alcuni dei disegni della ZZ coupé e li evolse per adattarli al layout della ZZ-II.

Caratteristici sono i grandi fari neri a punta che si sviluppano tridimensionalmente sul passaruota; il cofano anteriore con la parte centrale in rilievo per ospitare il radiatore; i due inusuali airscope separati sul tetto; il posteriore corto, largo e avvolgente, puntato all’insù come negli sport-prototipi, con i doppi fari circolari disposti su due livelli; il grande estrattore dell’aria con i due terminali di scarico ai lati; la presa d’aria sulla fiancata che solca tutto il lato fino alla ruota anteriore…

Curiosamente la saga di Gran Turismo annovera nel suo parco macchine la ZZ-II fin dal secondo capitolo, seguendone gli sviluppi dell’estetica confrontabili con i bozzetti della Design Apple, ma da Gran Turismo 3 non ha più aggiornato il modello poligonale dell’auto, che è rimasto alla maquette in scala 1:5 di fine 2000. Pertanto, nella serie della Polyphony Digital la ZZ-II non è stata mai riprodotta per come è stata costruita.

Foto di IY450 Photography
Foto di IY450 Photography

Con la cessione della Tomita Auto UK ad AUTOBACS nel 2000 e la successiva creazione della AUTOBACS Sportscar Laboratory, lo sviluppo della ZZ-II venne passato alla ASL, che aveva acquistato il sito di Kameoka; l’auto venne rimarchiata ASL RS-01 nel tentativo di garantirle un futuro agonistico, che si sarebbe concretizzato con la partecipazione nel 2003 alla 24 Ore di Le Mans. Ma a questo programma viene preferito continuare l’avventura in GT300, iniziata con la Apex MR-S gestita da Super Autobacs, adoperando la neonata Garaiya. Il comunicato sulla cancellazione della RS-01 arriva il 20 maggio 2003, mentre la ASL verrà dissolta nel 2005, ma comparendo fino al 2008 sulla tuta della ARTA. Per sette anni la RS-01 è stata custodita nella sede di ricerca e sviluppo della AUTOBACS a Kameoka. Nel 2009 fu riportata a Tomita, che da dieci anni la mantiene in ottimo stato, portandola di tanto in tanto ad eventi (l’ultimo è stato il Crazy Sportscar Heritage Gathering nel tempio Kitano Tenmangu, a Kyoto il 19 Maggio 2019).

Nel giro di qualche anno vedono la luce officine di manutenzione ed elaborazione per Tommy Kaira: le più importanti erano Threeek e KED (all’epoca acronimo per Kam Engine Development)

Tomita il 1 Maggio 2002 crea la Tomita Dream Sales (Tomita yume Hanbai) con sede a Minami-ku per gestire separatamente la vendita delle Tommy Kaira. Anche se Tomita è andato in pensione nel 2003, la compagnia è tutt’ora registrata.

I debiti accumulati dalla Dream Factory erano diventati troppi, per cui il 14 Febbraio del 2003 fu richiesto il Civil Rehabilitation Act, una forma di bancarotta introdotta nel pieno della crisi economica per incentivare gli amministratori a dichiarare fallimento quando i debiti erano ancora ripianabili, il quale non obbligava alla riorganizzazione dell’amministrazione. La somma in questione ammontava a un miliardo di JPY, equivalenti a 8.3 milioni di USD odierni (5/2019).

Nel 2007 la Dream Sales cambia nome in M-Direction (Minority Direction).

Nel 2009 il marchio Tommy Kaira fu preso in prestito dalla Rowen (ER Corporation), che rimpiazzò il ruolo della M-Direction. La rinominò Tommykaira Japan, virando la sua produzione verso bodykit molto vistosi e sistemi di scarico, allargandosi su altri marchi di auto. La sede principale fu trasferita a Toyota City, mentre il vecchio edificio della Fabbrica dei Sogni fu smantellato, e le altre sedi furono riconvertite.

Recentemente la Tommy Kaira è ritornata all’elaborazione di auto, dopo che il marchio è ritornato a Tomita nel 2016, e prestato alla GTS Co. Ltd. (Genuine Tommykaira Studio), una società in cui sono presenti alcuni dei dipendenti della Tomita Yume Koujou. Sono in sviluppo la R Concept (mostrata al Tokyo Auto Show 2018) mentre recentemente è stata presentata la Tommy Kaira M14, elaborazione basata sulla Suzuki Swift Sport ZC33S.

Tomita nel frattempo ha ripreso la sua attività di collezionismo e vendita di auto esotiche, riaprendo nel 2012 la Tomita Auto Co. sempre a Kyoto.

Nel luglio 2018 ha annunciato che ha intenzione di creare una nuova società, la Tommykaira Co., con cui sviluppare una variante a benzina ad alte prestazioni sulla base della Tommykaira ZZ EV.

Il luogo dove sorgeva la Yume Koujou nei pressi del Tempio del Padiglione d’Oro.

Foto in basso a sinistra di Koichi Noguchi su come si presentava la sede della Dream Factory al momento dell’acquisto della sua Tommy Kaira Z (Z33) nel 2003, poco prima dell’abbandono della Yume Koujou.

Foto a destra: schermate di Google Maps sull’edificio che sorge al posto della sede.

Alcuni dei punti vendita Tommy kaira aperti durante vent’anni di attività. Alcuni erano esclusivi di Tommy Kaira, altri vennero aperti all’interno di concessionarie ufficiali (Nissan e Subaru), e molte altre erano stand all’interno di negozi AUTOBACS.

La vecchia Tomita Auto Co., e l’edificio sorto al suo posto.

Foto di Jun Nishikawa

Che fine hanno fatto le ZZ?

Date la sua estrema semplicità e l’assenza di elettronica troppo complicata, la ZZ si è prestata nel corso di questi 20 anni a svariate modifiche più o meno invasive.

A partire da interventi più basilari come la sostituzione dei cerchi con misure più grandi, passando per upgrade al sistema di aspirazione e scarico, per il miglioramento dei freni, per l’installazione di ali, canard, splitter ed estrattori più o meno generosi, arrivando a modifiche meccaniche sostanziali, che vanno da assetti specifici (Aragosta, Bilstein), alla conversione del motore da aspirato a turbocompresso.

L’aspetto tutt’altro che minaccioso in contrasto con l’aggressività di appendici aerodinamiche sofisticate spesso trae in inganno chi non la conosce e non sa che può nascondere un motore da 100 cavalli al litro su un’auto da 270CV/ton.

Di tutte le 206 ZZ prodotte, quelle “riaffiorate” grazie ai forum e ai social network non superano la cinquantina di esemplari… chissà quante di esse sono sopravvissute, quante sono ancora originali, quante sono abbandonate in fondo a un garage in attesa che qualche appassionato le compri. Uno di questi è stato proprio Yoshikazu che qualche anno fa ha deciso di colmare la sua nostalgia comprandone una, che ancora possiede.

di Luca Sciarrillo

Gli inizi, l’apice e il futuro.

M20, M30Z e M14.

Le Swift Sport dei due “capi”: quella blu di Katsuhisa Kawaguchi (G T S; Tommy Kaira Owners Club) e quella gialla di Yoshikazu Tomita.

Ringraziamo (in ordine sparso):

Yoshikazu Tomita – creator of the brand and author of its blog

Kikuo Kaira – creator and engineer of the brand

Takuya Yura – Mooncraft

Sam Baum – Tommykaira M30Z

Naofumi Tokitake – G T S

Hiroyasu Koma – former GLM president

Akira Matsumoto – GLM

Tsuyoshi Yamasaki

Ichiro Miwa

Satoaki Nishimura – Kyoto Engineering Development, former Kameoka worker

Chris Nicholls – P1 Race Photography – translation assistant

Kazunori Shibata

Idekazu Okazaki

Masaaki Ito – for showing me in detail the experience of ZZ ownership

Jun Nishikawa – Carzy.net – for having organized the Kitano exhibition and for having provided me with photos of the ZZ-II on personal request, proving to be helpful and kind towards an ordinary enthusiast like me

Itou Hiroto

Hiroshi Fushida – for having checked the article

Desu Tanaka

Moritaka Kumamoto

Mike Rawlings – Breckland Technology, Carrozzeria Stirling

Francesco Mendola – hirev motors

Pietro di Spaldro – Throttle Addicted

Hideyuki Ikenouchi – Daena

Koichi Noguchi

Michael Townley Rawlings – ex Breckland Technology

Nathan Dub – Yanki Mate

Yu Ito

Yoshio Fujiwara – Motor Press

Fabio Busetto

https://tommykairazz.weebly.com

Hidehiro Tanaka – ZZ-II photographer

Katsuhisa Kawaguchi – TKOC, G T S

Tomohiko Katsuta

Mark McLeod – Hirocima Cruisers

Akinobu Tomiyama

Web Archive

www.ab-carsshow.com

www.ab-tommykaira.com

www.tommykaira.com

www.autobacs.com/asl

d-apple.com

sandsmuseum.com

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